«Sautet. toccò la vetta della sua arte con gli ultimi tre film, che videro un suo nuovo sodalizio artistico, quello con lo sceneggiatore Jacques Fieschi e con gli attori Daniel Auteil ed Emmanuelle Béart: Quelques jours avec moi (1988; Qualche giorno con me), dal romanzo di J.-F. Josselin, cupo viaggio nella nebbia dei sentimenti e nella difficoltà del vivere interpretato da Daniel Auteil; il raffinato Un cœur en hiver, storia dell'ineffabile rapporto fra un liutaio (ancora Auteil) e una giovane violinista (Emmanuelle Béart), e capolavoro di psicologia condotto con la misura dei classici, che, grazie anche alla musica di M. Ravel, confermò la sua vocazione a equiparare la struttura di un film a una partitura; Nelly et Monsieur Arnaud, commedia sull'amore impossibile fra un vecchio giudice (Michel Serrault) e una giovane donna (di nuovo la Béart), in cui raggiungono esiti memorabili il virtuosismo del ritrattista, la “logica sotterranea” da lui perseguita, la sapienza nel dirigere gli attori» (Enciclopedia del Cinema Treccani).
Così, a Claude Sautet ormai defunto (nato in questo giorno, era morto il 22 luglio 2000), un critico di lungo corso e mestiere quale Giovanni Grazzini, che con questo suo bel ritratto pare voler risarcire l'interessato dal trattamento riservatogli durante la sua precedente carriera. In Francia (ma di scorta anche da noi) autori e critici della Nouvelle Vague – non paghi di aver giustiziato indiscriminatamente il “cinema di papà” – indussero a diffidare di quei registi loro contemporanei che ancora credevano nelle regole del racconto, in una nozione di realtà, ma anche nelle esigenze di un pubblico raffinato. Che ancora praticavano un cinema “tradizionale”, ben sceneggiato, incentrato sui caratteri e sulla psicologia degli individui, spesso medio-borghesi, e che non si servivano del mezzo cinematografico per appoggiare o condurre battaglie più o meno sentite come proprie.
Questa la sorte di Sautet. Giovane critico musicale della rivista Combat, aiuto di Jacques Becker e di Georges Franju, sceneggiatore (spesso non accreditato) di decine di pellicole, aveva esordito come regista, più che con l'anonimo Bonjour sourire (1956), con due apprezzabili gialli (Asfalto che scotta, 1960, e Corpo a corpo, 1964). Tra gli altri undici lungometraggi da lui diretti, nelle pause operose e per lui (per noi) salutari di una vita schiva e appartata, da misogino e da misantropo, spiccano, dopo il successo di due film con Romy Schneider (L'amante, 1970, e Il commissario Pelissier, 1971), due operine gradevoli e ben calibrate con Yves Montand (È simpatico... ma gli romperei il muso, 1972, e Tre amici, le mogli e (affettuosamente) le altre, 1974). Storie senza tempo, toni sfumati, vicende narrate con pudore: quanto basta per attirargli il sarcasmo della nouvelle critique e per confinarlo presso un pubblico perbene. In finale di carriera, più che essere lui a cambiare sono gli spettatori a convertirsi e a decretare l'autorialità della sua ultima “trilogia”: appunto Qualche giorno con me (1988), Cuore in inverno (1992) e Nelly e Monsieur Arnaud (1995).
Quasi come accade, negli stessi anni, per il sino allora innominabile Claude Lelouch.