A Lille, la città del boia vendicatore di dumasiana memoria, quasi un presagio, nasce un attore. Grande, grande, grande. Brutto, sporco e cattivo. Bonario quanto basta. Degno erede di Michel Simon e di Jean Gabin. Degno compare di Jean Rochefort e di Daniel Auteuil. Uno di quelli che ci fanno amare l'unico cinema davvero europeo, quello francese (anche perché lui facilmente emigra oltralpe, cioè da noi).
Di lui si conoscono 130 film, a partire da La pointe courte (1955, di Agnès Varda). Questo è il nostro personale catalogo: Zazie nel metrò (1959, di Louis Malle), Il delitto di Thérèse Desqueyroux (1962, di Georges Franju), La grande abbuffata (1973, di Marco Ferreri), Non toccare la donna bianca (1974, di Ferreri), L'orologiaio di St.Paul (1974, di Bertrand Tavernier, inizio di un essenziale sodalizio), Amici miei (1975, di Mario Monicelli), Che la festa cominci... (1975, di Tavernier), Il giudice e l'assassino (1976, di Tavernier), Il deserto dei Tartari (1976, di Valerio Zurlini), Due pezzi di pane (1979, di Sergio Citti, una bella impresa), Una settimana di vacanza (1980, di Tavernier), Colpo di spugna (1981, di Tavernier, un capolavoro), Tre fratelli (1981, di Francesco Rosi), La famiglia (1986, di Ettore Scola), Volto segreto (1987, di Claude Chabrol, importante), Nuovo cinema Paradiso (1988, di Giuseppe Tornatore), La vita e nient'altro (1989, di Tavernier, intensissimo), Zuppa di pesce (1992, di Fiorella Infascelli), Tango (1993, di Patrice Leconte), Il postino (1994, di Michael Radford).
Opportunamente, e con qualche sentore, la fiorentina France Cinéma di Aldo Tassone gli dedica la retrospettiva 2006. In quella che è forse la sua ultima intervista, concessa a Giovanni Bogani per La Nazione, alla fatidica domanda sui progetti futuri risponde: «Nessuno. Anzi sì: riposarmi. E non trovo questa cosa del tutto spiacevole». Il suo nome è Philippe Noiret. Muore a Parigi pochi mesi dopo, il 23 novembre 2006, all'età di 76 anni, per tumore dopo lunga malattia.