Hanno inizio le trasmissioni televisive a colori della Rai, prima annunciatrice Rosanna Vaudetti.
La sperimentazione è durata cinque anni, a partire dalle Olimpiadi di Monaco del 1972, ma non sono certo i problemi tecnici a motivare il ritardo (le tv degli altri Paesi da almeno dieci anni godono del colore; la prima trasmissione a colori ha avuto inizio negli Stati Uniti nel 1951), ma ben più sottili questioni etico-politiche: lo stato di “austerità” decretato dal dicembre 1973 al giugno 1974, l'ostilità del ministro del Tesoro e poi vicepresidente del Consiglio, il repubblicano Ugo La Malfa, che teme lo scatenamento di tendenze consumistiche e inflazionistiche, la scarsa fiducia nel mezzo dettata anche da un certo moralismo, infine gli interessi legati all'adozione del sistema (Pal come in Germania o Sécam come in Francia?), indifferenti alle sofferenze dell'industria italiana dei televisori che avrebbe ceduto di fronte alla concorrenza straniera.
Con l'avvento del colore si verificano non casualmente almeno tre eventi: la scomparsa, un mese dopo, della storica rubrica Carosello, quasi a significare una svolta nella comunicazione; l'avvio delle prime trasmissioni delle reti private locali (TVS, Antenna 3 Lombardia, Teleradio Milano 2: e già c'è sentore di Berlusconi), i cui programmi trovano persino ospitalità sull'istituzionale Radiocorriere Tv; l'avvento del telecomando, con il quale la fruizione non sarebbe più stata la stessa.
Finalmente si possono vedere a colori film che si sono creduti in bianco e nero (il caso più clamoroso è quello de Il mago di Oz, con il suo “passaggio” cromatico) e finalmente la cronaca – compresa quella sportiva – assume aspetti più reali. E l'estetica? Negli spettacoli di intrattenimento e di varietà significa la scomparsa dell'infinita gamma di grigi accuratamente calcolata, dell'eleganza della contrapposizione tra bianchi e neri, a favore dell'irruzione di una volgare sgargianza, con la compresenza dell'intera scala cromatica negli ambienti e nei costumi.
Era successo anche con il cinema. Basta richiamarsi a Totò a colori (1952), primo Ferraniacolor dei nostri schermi: per vedere l'effetto che fa, si colorano di azzurro le porte di un appartamento e si vestono i personaggi di almeno cinque o sei tinte. Un'indigestione che, in tv, continua ancor oggi.