Ottant'anni dal rapimento, con tutta probabilità seguito quasi immediatamente dall'omicidio, di Giacomo Matteotti: la pur fondamentale attenzione rievocativa ormai quotidianamente dispiegata dai media riguardo al 1914 e alla Grande Guerra rischia di far passare un po' in ombra la tragica ricorrenza.
Un'inchiesta svolta nel 1955 e ripetuta dieci anni dopo tra gli studenti degli istituti superiori dell'Oltrepo pavese promossa da Ugoberto Alfassio Grimaldi (e poi pubblicata, a cura del mai abbastanza compianto Claudio Bertoluzzi, nel numero speciale de “Il Ponte” per il ventennale della Liberazione, aprile 1965) dimostrò come il suo nome, tra i “giovani”, a mezzo secolo meno di oggi dal fattaccio, fosse già completamente ignorato (anche se quegli interpellati, rispetto a quelli intervistati di recente da Walter Veltroni per l'apertura del suo film su Berlinguer, apparirebbero oggi autentici storici professionisti...).
Singolarmente, una figura così centrale ha potuto finora essere oggetto soltanto di un remoto, breve documentario di Nelo Risi (1956) e dell'onesto ma un po' presepiale lungo di Florestano Vancini, non a caso entrambi intitolati a Il delitto Matteotti. Oltre che delle sintetiche evocazioni -sempre della sciagurata soppressione, quintessenza del fascismo- nei montaggi storici, rigorosi come All'armi siam fascisti di Del Fra-Mangini-Micciché (1962), sostenuto da un epocale parlato scritto da Franco Fortini, o del più sommario di Pasquale Prunas, pur col commento di Enzo Biagi e Sergio Zavoli, per non dire dell'accomodante Benito Mussolini – Anatomia di un dittatore di Mino Loy e Adriano Baracco. Tre film curiosamente coevi.
In definitiva, a tutt'oggi Giacomo Matteotti non è stato mai ritenuto degno neppure di una miniserie biotelevisiva in due puntate, quelle da domenica e lunedì sera Rai1 o Canale 5. Che pure, fino ad oggi, non sono mai state negate quasi a nessuno.