Viscontiana (IV): la parola al giurato (2).
«Dopo che la Mostra di Venezia si è conclusa con la decisione della giuria di non assegnare il Leone d'oro, incontro Visconti nei pressi dell'Hotel Milan. Dall'altro marciapiedi di via Manzoni mi fa un perentorio cenno di raggiungerlo e appena arrivato al suo cospetto mi investe tempestoso: “Non mi dirà anche lei, caro amico, che avremmo dovuto a tutti i costi dare il premio!”.
Lo scopro tanto infervorato che non oso dirgli come la penso, preferisco prenderla alla larga: in fin dei conti non è un giudizio assoluto, è un riconoscimento riferibile a quello che c'è... E poi questo film giapponese, L'arpa birmana di Kon Ichikawa, meritava forse...
Mi tronca la parola in bocca. Per carità, Venezia è un agone massimo, se non si tiene l'ostacolo il più alto possibile scade il livello della manifestazione, se c'è il capolavoro bene, benissimo, se non c'è tanto vale dirlo. Lo lascio dire, capisco che tutti lo marcano stretto per questa storia del palmarès mancato e rispetto il suo personale risentimento espresso con tanta passionale veemenza» (Tullio Kezich, Cari centenari, Falsopiano, Alessandria 2006)
La giuria della 17^ mostra, che non ritenne di assegnare neppure Leoni d'argento (nonostante in concorso ci fossero, con Ichikawa, anche Aldrich e Nicholas Ray!), era presieduta da John Grierson, e comprendeva, con Visconti, addirittura Bazin: l'altro membro italiano era G.B. Cavallaro.
Attraverso la Coppa Volpi assegnata a Maria Schell per Gervaise di Clément, Visconti individuò la protagonista de Le notti bianche, che avrebbe portato a sua volta in mostra l'anno successivo senza riceverne alcun riconoscimento da una giuria presieduta da René Clair, di cui facevano parte tra gli altri Penelope Houston e Ivan Pyriev, e in cui il rappresentante italiano era Vittorio Bonicelli (è connesso a questo verdetto la sua celebre battuta suoi leoni d'argento e i silenzi d'oro).
Ma l'intera storia veneziana di Visconti in concorso è un rosario alterno di cantonate e soprusi. Nel '48, nonostante nella giuria presieduta da Chiarini, tutta italiana, ci fosse addirittura, ma minoritario, Aristarco (con lui: Gromo e Consiglio, Lanocita e Marinucci, Melloni e Prosperi; e l'unico “straniero”, almeno di passaporto, era il ben noto padre Morlion...) La terra trema non va oltre il Premio internazionale appositamente confezionato “per i suoi valori stilistici e corali”. Si vede soffiare il riconoscimento (“Gran Premio della Presidenza del Consiglio: il governo De Gasperi pochi mesi dopo il 18 aprile) per il miglior film italiano da Sotto il sole di Roma di Castellani. D'altra parte non fa miglior fine il Flaherty di Lousiana Story: il riconoscimento massimo, che per l'ultimo anno non è ancora almeno ufficiosamente leonino, se lo porta via l'Amleto di Olivier. [ segue... ]