Si chiude, tra molte polemiche circa l’assegnazione dei premi (ma questa non è una novità), la Mostra di Venezia. Leone d’argento a Pace a chi entra di Aleksandr Alov e Vladimir Naumov; Coppa Volpi al miglior attore: Toshiro Mifune per La sfida dei samurai; Coppa Volpi alla miglior attrice: Suzanne Flon per Non uccidere; Premio Opera prima: Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta, e fin qui quasi tutto bene. Ma un boato accoglie l’attribuzione del Leone d’oro a L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais (e Alain Robbe-Grillet), un film risultato “incomprensibile” alla maggior parte del pubblico. La critica si divide tra chi lo giudica “un esperimento intelligente e interessante, ma discutibile” e chi lo ritiene “un film rivoluzionario che porta il cinema sul piano della letteratura e che resterà nella storia del cinematografo”. Quanto sia rimasto del primo e più sperimentale Resnais, quello del precedente Hiroshima mon amour (1959) e del susseguente Muriel, il tempo del ritorno (1963), non sappiamo. Sappiamo solo che l’ultranovantenne regista, ancor oggi attivo (ma “solo” 18 film in 53 anni), non cessa di sorprenderci nella sua vera e propria simbiosi con la macchina da presa, qualunque sia la storia raccontata (o lasciata intendere).