Una data fondamentale per la nostra storia – la fine di una libertà illusoria (il 25 luglio) e l'inizio di una lotta per una libertà effettiva, forse per poco – trova ovviamente riscontro nel nostro cinema, anche se con risultati non sempre entusiasmanti.
A cominciare dall'unico film che quella data riporta nel titolo: Il carro armato dell'8 settembre (1960), in cui un regista onesto (e poco più), Gianni Puccini, narra le tragicomiche peripezie di un caporale carrista che cerca – tra senso del dovere e senso dell'avventura – di riportare il proprio mezzo in caserma.
Più esplicito sin dal titolo Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini, un mix di comico e drammatico, grottesco e patetico, che pur narrando un viaggio verso sud di tre militari sbandati, riesce a rendere il clima e le aspettative dell'epoca, e la necessità di compiere una scelta.
Meno convincente la presa di coscienza di cinque militari evasi dal carcere di Gaeta, anch'essi in viaggio verso casa, fatta intuire più che narrata in La guerra continua (1962) di Leopoldo Savona. Più sincera la difficile scelta della lotta partigiana di un gruppo di giovani che si cimenterà in un atto di sabotaggio più grande di loro, vivendo appunto Un giorno da leoni (1961, di Nanni Loy). Più sofferta quella di un gruppo di giovani borghesi sfollati in campagna, con la possibilità di rifugiarsi in Svizzera o di entrare nella resistenza, al centro del fiero e commovente Gli sbandati (1955) di Francesco Maselli.
L'8 settembre può essere anche occasione di farsa, come in I due marescialli (1961) di Sergio Corbucci, con un allusivo scambio di indumenti tra un prete e un maresciallo dei carabinieri che cerano di sfangarsela. O per fungere da traino a una storia di fratellanza alpina e d'amore montanaro come in Penne nere (1952) di Oreste Biancoli.
La fatidica data non sfugge a Roberto Rossellini che nell'edificante Era notte a Roma (1960) la volge in internazionalismo e in interclassismo, narrando di tre prigionieri di guerra – americano, inglese e russo – che si rifugiano a Roma in casa di una popolana. Assai più convincente Estate violenta (1959) di Valerio Zurlini, apparentemente solo la storia di una passione che travolge una vedova borghese e un ventenne in quella tragica estate, in realtà uno spaccato puntualissimo del vivere quotidiano in una cittadina di mare sconvolta dagli eventi sino al drammatico epilogo.
Come forse avrete notato, tutti film sono realizzati tra i tardi anni '50 e i primi '60, all'epoca di un breve risveglio di interesse per i temi della Resistenza. Ma v'è un illustre antesignano: Il sole sorge ancora (1946) di Aldo Vergano, che segue le sorti dopo l'8 settembre di alcuni soldati, diversi per estrazione sociale e per scelte operate, sino al premonitore martirio di un prete e di un comunista. E v'è un felice (provvisorio, si spera) epilogo: Il partigiano Johnny (2000) di Guido Chiesa. Come in Fenoglio, l'8 settembre significa l'avvio di una maturazione esistenziale, pur tra delusioni e sacrifici, una faticosa e dolorosa lotta per la sopravvivenza.