Chi nel lontano 1949 rimaneva impressionato dal crollo del tempio di cartapesta sotto il quale periva un gigantesco eroe biblico, dai muscoli lucidi di sudore, già umiliato dalla parrucchiera Dalila, non poteva certo immaginare che quell'attore di cui non si sapeva bene pronunciare il cognome fosse di origine italica, o meglio italo-austriaca. Infatti suo padre, l'arrotino Marcello Gelindo Maturi, nato nel 1877 a Pinzolo nell'allora absburgica Val Rendena, era emigrato nel 1912 in Usa, ove il 29 gennaio dell'anno successivo sarebbe nato il piccolo Vittorio, in arte Victor Mature. A un anno dalla sua morte (agosto 1999) la vicina Madonna di Campiglio gli ha dedicato, con un'interessante operazione di recupero, non solo turistico, una mostra celebrativa e un prezioso catalogo, dal quale scaturisce un personaggio ben più complesso di quanto le apparenze mostrassero, o come scrive nell'occasione Tullio Kezich, “un dio minore”.
«Nell'occhio di Mature, lassù a quasi due metri di altezza, si coglie la concentrata intensità del momento recitativo e insieme un tanto di assente, lontano e inesplorabile. […] È quest'ambiguità irrisolta che costituisce il tratto originale di Mature, la sua capacità di mantenersi in equilibrio fra tante contraddizioni. Se la situazione è eroica, nel profondo del suo sguardo si legge un vago tremore; se è la paura che il personaggio deve esprimere, l'occhio suggerisce una sfumatura di stoicismo; se l'atteggiamento è quello della seduzione, senti che l'abbandono alla femmina non sarà mai totale. E intanto il palpito malinconico di ogni sua incarnazione si dissolve in una voglia di leggerezza; o, viceversa, la serenità viene rapidamente velandosi di nubi. E l'occhio, senza contrastare la ridda dei travestimenti, rimanda invariabilmente a qualcos'altro. Il risultato scenico è qualcosa di paragonabile al prestigioso peso specifico, spesso un po' assurdo e non razionalmente motivabile, di certi grandi cantanti lirici» (da Victor Mature. Dalla Val Rendena a Hollywood, a cura di Roberto Festi, Stampalith, Trento, 2000).
Peccato allora ricordarlo soltanto come l'atono e aitante protagonista, quasi un culturista, di kolossal biblici e affini (appunto Sansone e Dalila, 1949, di DeMille; e poi La tunica, 1953, di Henry Koster; I gladiatori, 1954, di Delmer Daves; Sinuhe l'egiziano, 1954, di Michael Curtiz). Meglio recuperarlo in film quali I misteri di Shanghai (1941, di Josef von Sternberg), Sfida infernale (1946, di John Ford), Il bacio della morte (1947, di Henry Hathaway), L'urlo della città (1948, di Robert Siodmak) o aspettarlo in Sabato tragico (1955, di Richard Fleischer). Attivo sullo schermo dal 1939 (La casa delle fanciulle di Hal Roach), Mature conclude la carriera in Italia con un film in costume (Annibale, 1961, di Carlo Ludovico Bragaglia), concedendosi una partecipazione speciale – il divo incapace di accettare il proprio tramonto – in Caccia alla volpe (1966, di Vittorio De Sica).
Da allora (a parte il ruolo del padre del protagonista in un remake televisivo di Sansone e Dalila) si ritira saggiamente nel suo ranch. Sarebbe forse stato meglio un bell'alpeggio in Trentino.