«Qui comincia l'avventura / del signor Bonaventura...»
I ragazzini degli anni '40 che attendevano ogni settimana con ansia il “Corriere dei Piccoli”, ove in prima pagina 8 quadretti, ciascuno accompagnato da una quartina di ottonari a rima baciata, raccontavano le vicende milionarie del personaggio di Sto (nato peraltro addirittura nel 1917 e quindi imperituro), non sospettavano che sotto quell'acronimo si celasse non solo un fantasioso disegnatore dai tratti quasi futuristi, ma anche e soprattutto un grande attore, Sergio Tofano, che li avrebbe accompagnati per decenni, come già in passato avevano goduto e apprezzato i loro genitori. E in questo giorno avrebbero pianto la scomparsa di una presenza discreta ma costante (una sessantina di film) sullo schermo.
Mai protagonista, talora comprimario, spesso singolare caratterista con una propensione per ruoli da deus ex-machina, eccolo provvidenziale usciere in La segretaria privata (1934 di Alessandrini), baritono infedele in La telefonista (1932, di Malasomma), agente di borsa, aspirante suicida in O la borsa o la vita (1933, di Bragaglia), professore di scienze naturali, burlato dalle alunne, in Seconda B (1934, di Alessandrini), maggiordomo di uno squattrinato ingegnere in Se io fossi onesto (1942, di Bragaglia).
Ma lo ritroviamo anche assai più tardi, quasi in ruoli da cameo, omaggio alla sua signorilità non disgiunta dalla stravaganza (quasi una marionetta), al suo fisico asciutto come lo stile recitativo, alla sua eleganza discreta, in film quali Altri tempi (1952, di Blasetti), Il cardinale Lambertini (1954, di Pàstina), La bella di Roma (1955, di Comencini), I sogni nel cassetto (1957, di Castellani), Il padre di famiglia (1967, di Loy), Partner (1968, di Bernardo Bertolucci), Toh, è morta la nonna (1969, di Monicelli), La colonna infame (1973, di Nelo Risi), Rugantino (1973, di Festa Campanile), sua ultima apparizione.
Non s'è detto del teatro (ove eccelle) o della tv – sceneggiati di grande popolarità anche per lui, quali Orgoglio e pregiudizio (1957), L'idiota (1959), Mastro don Gesualdo (1964), Il conte di Montecristo (1966, ah, quell'abate Faria!), Le mie prigioni (1968), I fratelli Kramazov (1969) –, né dei suoi due film come regista: Cenerentola e il signor Bonaventura (1942), raro esempio di cinema fiabesco, e Gian Burrasca (1943), più genuino anche se più ingessato rispetto al prodotto della Wertmüller, con i quali il cerchio si chiude.