«Non ci sono solo gli Oscar-Oscar, ma anche quelli assegnati a chi abbia portato grandi contributi alle tecnologie di supporto dell'industria del cinema. Li attribuisce ogni anno la stessa Accademia hollywoodiana e quest'anno la targa di bronzo è andata a Peter Kuran, per avere inventato un semplice sistema di restauro e di rinfresco delle pellicole a colori. Pochi sanno infatti che lo strato che assorbe la luce blu nelle pellicole è per sua natura chimicamente instabile e si deteriora nel tempo. L'idea di Kuran è stata di rileggere la pellicola originale con luce blu, impressionare un nuovo strato e sovrapporlo a sandwich alla vecchia: prende il nome di Rci (Restored Color Image). Con un sistema del genere molti vecchi film sono stati ringiovaniti, ultimo Quando la moglie è in vacanza [1955, di Billy Wilder] con Marilyn Monroe. Il fatto curioso è che, per adesso, questo sistema, completamente analogico, risulta più economico di quello digitale. Quest'ultimo prevede di scandire tutti i fotogrammi, trasformandoli in sequenze di bit e poi di agire sui livelli di colore, ripristinando le intensità originali: la strada del futuro è questa e lo sarà obbligatoriamente via via che i dischi di memoria sostituiranno la pellicola, ma per ora il restauro digitale richiede una grande quantità di lavoro umano: per ripristinare i toni giusti di Vertigo [La donna che visse due volte, 1958] di Alfred Hitchcock venne speso nel 1996 più di un milione di dollari».
Merita qualche riflessione questo box di Franco Carlini, apparso su L'Espresso tredici anni fa. Intanto perché dimostra che non sempre l'innovazione è la via giusta o più economica. Poi perché nel frattempo la pellicola è scomparsa, e con essa tante nobili professioni, a cominciare da quella nobilissima del proiezionista. Per tutti il ricordo vada almeno al burbero Philippe Noiret di Nuovo cinema Paradiso (Tornatore, 1988), al malinconico Massimo Troisi di Splendor (Scola, 1988) e al lugubre Tom Hulce del film omonimo (Končalovskij, 1991).