Benché non lo si sia frequentato molto, ogni tanto pare di rivederlo, così com'era a qualche convegno o festival o anteprima. Appariva silenzioso, con un mezzo timido sorriso sul volto, il passo dei suoi scarponcini pesante ma non rumoroso, e un abbigliamento che ricordava quello dei montanari il dì di festa.
Sperando che il ritratto non sia irriguardoso, ricordiamo così Bruno De Marchi, scomparso a Milano a 72 anni in questa data, nato a Tradate (Varese), ma di origine triestina.
Bella persona di grande intensità, dagli interessi molteplici quanto mai esibiti, comprensivo con quanti non la pensassero come lui, è stato insieme critico (per i quotidiani Avvenire e Il Piccolo e per la rivista Bianco e Nero), docente universitario (dal 1992 titolare di Storia delle teoriche del cinema all'Università Cattolica di Milano e dal 2000 incaricato di Cinematografia documentaria), dopo esser stato editor della rivista Vita e Pensiero.
Ben noto per suoi due libri (István Szábo, La Nuova Italia, 1977, e soprattutto Paul Vecchiali o l'anfibiologia, La Biennale di Venezia, 1982), lo si ricorda anche come persona molto attenta alle cinematografie marginalizzate dalla distribuzione, specie quelle della Mitteleuropa e delle nazioni in cerca di identità (Québec, Catalogna, Irlanda, Islanda) o dell'Africa nera. Purtroppo misconosciute le sue più recenti pubblicazioni, tutte apparse da Euresis: Lontano da Hollywood?, 1996; Umbra Dei e palpebra del cinema, luce, 1996; Huang Tu Di/Terra gialla, 1999; Camicie nere camicie brune, 2000 (con Massimo Locatelli); L'utopia impaziente, 2003.