Ricordiamo la data di nascita di Elsa de' Giorgi, celebrando non tanto l'attrice di Camerini (T'amerò sempre, 1933) e di Chiarini (La locandiera, 1944) che si amministra distrattamente fra troppi personaggi in costume (per poi finire nell'ingrata parte del Salò, 1975, di Pasolini), o l'appassionata corrispondente (ben corrisposta) di Italo Calvino, quanto l'intellettuale antifascista e l'animatrice della vita culturale romana che nel 1955, con I coetanei (Einaudi), ci offre un delizioso quanto incisivo diario pubblico con molti riferimenti al cinema.
Privilegiamo la pagina dedicata all'entrata in guerra vista da Cinecittà: «[Al ristorante di seconda] mi guardai intorno per vedere chi c'era: quasi tutti gli attori truccati con le vesti di scena; circondato da armigeri, Osvaldo [Valenti] nel suo costume nero da Cesare Borgia, Assia [Noris] fra i pizzi del suo personaggio romantico, Maria [Denis] coi ricci e i nastri di Dorina di Addio giovinezza, Alida [Valli] nei panni procaci di Manon, la piccola bella testa eretta, e moltissimi attori, illustri o meno, circondati da comparse nei costumi più svariati: perfino indiani, danzatrici, odalische seminude sotto i calzoni di velo. Tutti parlavano spensierati, come fossero stati lì per una sosta normale del loro effimero e duro lavoro. Ad un tratto vidi spegnersi il sorriso che Camerini stava facendomi da lontano, e mi trovai immersa in un improvviso silenzio: la radio aveva cominciato a trasmettere la voce di Mussolini. Dapprima nessuno capì. Quella voce parlò brevemente ed era così secca e perentoria che nessuno, quando tacque, potesse credere che avesse finito di parlare, di spiegare. Si era abituati ai fiumi di parole, alle invettive, alle minacce: nulla, mai, era stato più sinistro di quel silenzio, dopo quelle parole inaudite. […] Guardai intorno ad una ad una le facce che mi circondavano; in ciascuna, lo stesso deserto che era nell'aria senza suono. Sulla faccia di Camerini, laggiù, investita dal sole, traspariva una desolazione stupita. Blasetti aveva gli occhi sbarrati come un ragazzo maltrattato. Valenti si mordeva il labbro superiore e il suo viso era duro, cattivo. Confusa, dentro, mi ribolliva una rabbia cocente come se mi sentissi responsabile: tutti, sentivo responsabili».
Altro che “telefoni bianchi”!