Non càpita a tutti, specie se torinesi di nascita, di essere sepolti a San Giovanni Rotondo, per cercare un'estrema vicinanza a Padre Pio da Petralcina, non ancora santo, ma al cui processo di beatificazione costui ha partecipato.
Càpita ancor meno a chi ha frequentato il mondo peccaminoso dell'operetta, della rivista, del varietà, del cinema spesso di genere, e addirittura è stato iniziato alla Massoneria il 25 ottobre 1945 presso la Loggia Fulgor Artis all'Oriente di Roma (Obbedienza della Serenissima Gran Loggia Nazionale Italiana di Piazza del Gesù), il cui Maestro venerabile (sembra uno sketch) era Antonio de Curtis, in arte Totò.
Ebbene è quanto accade a Carlo Campanini, scomparso in questo giorno, un carattere intimamente mistico, anche a causa di traversie e sofferenze familiari (uno dei quattro figli gli ha dato non pochi dispiaceri), approdato integralisticamente alla fede anche grazie a un altro figlio, sacerdote.
Insospettabile per chi – i più superficiali – lo ricorda come spalla di Walter Chiari negli sketch dei fratelli De Rege (“Vieni avanti, cretino!”) o in quello del Sarchiapone, o addirittura come primo testimonial (anticipando Ferruccio De Ceresa ed Ernesto Calindri) dell'amaro Cynar “contro il logorio della vita moderna”, e persino per chi ne ha seguito con attenzione e con simpatia la lunga carriera cinematografica di comprimario e di caratterista.
Nel cinema ha esordito (un divertente portalettere) accanto al conterraneo Macario (Lo vedi come sei... lo vedi come sei?, 1939, di Mattòli), il primo dei suoi 146 film, e lo si ricorda poi come lo studente fuori corso in Addio, giovinezza! (1940, di Poggioli) o come il bidello pasticcione di Ore 9: lezione di chimica (1941, di Mattòli) o come l'avvocato accomodante di Il birichino di papà (1941, di Matarazzo) o come il cantante (cui presta la sua ottima voce tenorile) di La vita è bella (1943, di Bragaglia), prima di approdare al forse suo unico film da protagonista: Le miserie del signor Travet (1946, di Soldati), ove, nei panni di un solerte funzionario del regio Piemonte, conculcato dal superiore e vessato dal coniuge, dà notevole prova di doti drammatiche, così come in Il bandito (1946. di Lattuada), nel ruolo di un reduce.
Nella lunghissima serie di film e filmetti, quasi sempre commedie e commediole, che gli si ascrive, resta una presenza inconfondibile, eclettico per eccellenza, ora caricaturando il personaggio, ora smorzandolo con grande misura. Non bello, lievemente pingue, più vecchio della sua età, vagamente inceppato nel linguaggio, può apparire ingenuo e bonaccione, sprovveduto e stravagante, fiducioso e perdente, paziente e improvvido, ma sempre dotato di una grande e coinvolgente umanità.
Se non si fosse irriguardosi, si direbbe anche lui votato alla santità.