Nasce a Rimini Riccardo Fellini (morirà a Roma il 25 marzo 1991).
Trasferitosi a Roma nel '39 col fratello Federico e la sorellina Maddalena (operazione favorita dal fatto che la madre Ida è originaria della capitale e ha mantenuto i legami con la famiglia di provenienza) frequenta forse, senza concluderlo, il corso per attori del Centro Sperimentale. Ragioniere diplomato con la tentazione poco entusiasta di proseguire l'attività paterna nella rappresentanza di generi alimentari, e coinvolto nella mobilitazione bellica, è comunque già sullo schermo a vent'anni ne I tre aquilotti di Mario Mattoli, che segna l'esordio in un ruolo più in vista anche di Alberto Sordi (il soggetto è dell'immancabile Tito Silvio Mursino/Vittorio Mussolini: si tratta quasi di un anti-Un pilota ritorna rossellinano).
La sua carriera di interprete proseguirà per una ventina d'anni e altrettanti film. L'occasione migliore gliela offrirà proprio il fratello, in tutti i sensi maggiore, col vitellone suo omonimo del film dal proverbiale titolo (1953). Ma prima aveva già figurato, sempre in ruoli meticolosamente minori quando non addirittura marginali, con Franciolini in Addio, amore!, De Sica ne I bambini ci guardano, de Limur per Apparizione e Blasetti con Nessuno torna indietro, tutti girati in un intensissimo '43, alla faccia delle apocalissi politiche e belliche...
Nel '51 è assistente alla produzione per Il brigante di Tacca del Lupo di Germi (nel '57 farà addirittura il segretario di produzione con Eduardo per Fortunella, protagonista la cognata Giulietta). Riprende nel '54 le interpretazioni con Allegro squadrone di Moffa e Sinfonia d'amore di Pellegrini, senza peraltro fare carriera. Si toglie qualche soddisfazione in più col ruolo del barone nel singolare e affascinante Città di notte, opera prima (e destinata ad essere seguita solo da una seconda) dell'amico Leopoldo Trieste. Non fa molta strada in più neppure con la seconda occasione fraterna, l'osannatissimo e oscarizzato Le notti di Cabiria del 1957: è più in evidenza, lo stesso anno, finalmente coprotagonista, nel peraltro semiclandestino I vagabondi delle stelle di Nino Stresa. Nel '59 Anton Giulio Majano lo immette in un suo Padrone delle ferriere. Nel '61-'62 infine è due volte con Marco Ferreri, nell'episodio sull'adulterio dello zavattiniano Le italiane e l'amore, e ne L'ape regina, dove il suo personaggio si chiama per l'ennesima e ultima volta Riccardo.
Ma soprattutto esordisce, nel '62, come regista, tre episodi dalla realizzazione contrastata a travagliatissima, in rigorosa assenza del fratello fino alla stessa serata del Lido Storie sulla sabbia, che torna in quella Venezia dov'era stato vent'anni prima, in tutt'altra temperie e ambientazione, per il film d'esordio con Mattoli. Un titolo emblematico per una vita inesorabilmente “in minore”: come per Serse Coppi, o Neera Fallaci, Anna Melato o Pia Rame, la croce e delizia di avere sempre davanti, vita natural durante, un fratello o una sorella che fa lo stesso lavoro, ma, insomma, quanto a piani di permanenza non ci si incontra mai.
Lo scorso anno al Festival di Roma è stato presentato, su di lui e il complicato rapporto con Federico, il documentario - naturalmente - L'altro Fellini, che offre tra l'altro la testimonianza personale di un'altra “vittima” felliniana, Moraldo Rossi, già a sua volta adeguatamente indagato dallo spettacoloso libro di Tatti Sanguineti Fellini & Rossi.