Con la scomparsa, all'età di soli 61 anni, di Corrado Alvaro se ne va uno scrittore tanto importante ai suoi tempi quanto frettolosamente archiviato e dimenticato. Vale in parte per le sue opere narrative più celebrate – Gente in Aspromonte (1930), che gli procura il primo importante premio letterario italiano, bandito da La Stampa nel 1931; L'uomo è forte (1938), per il quale riceve il Premio dell'Accademia d'Italia della letteratura nel 1940; Quasi una vita (1950), per il quale ottiene il premio Strega nel 1951 (battendo concorrenti quali L'orologio di Carlo Levi, Il conformista di Moravia, A cena col commendatore di Soldati e Gesù, fate luce di Domenico Rea –, ma vale soprattutto per le sue molteplici attività in campo giornalistico e culturale, non ultimo il cinema.
Tanto per citarne qualcuna, nel 1921 è corrispondente da Parigi de Il Mondo di Giovanni Amendola; nel 1925 è tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce; nel 1928 da Berlino collabora con La Stampa e con L'Italia letteraria; nel 1935 è in Russia e quindi scrive, sulla rivista Omnibus di Leo Longanesi, diversi articoli sulla Rivoluzione d'ottobre; dal 25 luglio all'8 settembre del 1943 assume la direzione del Popolo di Roma, del quale era già stato critico teatrale, per poi rifugiarsi nella clandestinità; nel 1945 fonda il Sindacato Nazionale Scrittori, ove ricopre la carica di segretario fino alla sua morte, e la Cassa Nazionale Scrittori; nello stesso anno – ma purtroppo per sole tre settimane: è davvero troppo “di sinistra” – è il primo direttore del Giornale radio nazionale della neonata Rai.
Qui però lo si vuole ricordare per l'attività di critico cinematografico, che va saltuariamente dal 1929 al 1953, ma si concentra dal 1934 al 1936, allorché cura la rubrica sulla Nuova Antologia di Luigi Federzoni e nel 1952, anno in cui tiene la rubrica su Il Mondo di Mario Pannunzio, succedendo a Ennio Flaiano: attività documentata e raccolta nel bel volume Al cinema curato da Gaetano Briguglio e Giovanni Scarfò, introdotto da Callisto Cosulich e pubblicato da Rubbettino nel 1987. Ben sintetizza Cosulich: «uno dei grandi scrittori italiani del Novecento, ha intuito con un buon anticipo sui tempi l'importanza, se non l'altezza, del cinema in una società che si avvia a divenire la “società dello spettacolo”, in un mondo che prima o poi avrebbe confuso gli uomini coi loro simulacri».
Più difficile identificare il suo effettivo contributo come soggettista e/o sceneggiatore ai film, bene o male significativi, cui partecipa: Il diario di una donna amata (1936, Koster), Terra di nessuno (1939, Bàffico), Fari nella nebbia (1942, Franciolini), Noi vivi/Addio, Kira (1942, Alessandrini), Storia di una capinera (1943, Righelli), Febbre (1944, Zeglio), Resurrezione (1944, Calzavera), Caccia tragica (1946, De Santis), Riso amaro (1949, De Santis), Patto col diavolo (1949, Chiarini). Ma il sangue calabrese non mente e la passione affiora.