«Dal Festival Cinema Giovani raggiungo al telefono nella sua casa di Fiano Romano un giovane che il 7 febbraio prossimo compirà 80 anni: Giuseppe De Santis, del quale si proietta stasera la copia restaurata dell'opera prima Giorni di gloria, un documentario finito a quattro mani con Mario Serandrei. Gli chiedo prima di tutto: Serandrei, grande montatore, girò qualcosa o si occupò solo dell'edizione?
“Serandrei, per la verità, ebbe per primo l'idea di mettere insieme un film sulla lotta di liberazione. I materiali li ottenemmo dall'Anpi, l'Associazione dei partigiani, e dagli americani del PWB. Le altre scene le girammo io, Luchino Visconti e Marcello Pagliero. Il processo al questore di Roma Pietro Caruso lo girò tutto Visconti, con tre macchine. Fece tutto lui, io non ero neanche sul posto. E quando si scatenò l'aggressione della folla contro Donato Carretta, l'ex-direttore di Regina Coeli presente come testimone, Luchino sguinzagliò un operatore che filmò tutte le fasi del linciaggio”.
Per conto mio, sono quasi certo di aver visto Giorni di gloria (al tempo della sua uscita nel novembre '45) un'inquadratura tremenda, indimenticabile: un totale di Carretta già brancolante nelle acque del Tevere, con la folla inferocita che si sporge dai parapetti e qualcuno che gli assesta una botta in testa con un remo, sporgendosi da un barcone. C'era questa scena nel film? O me la sono inventata?
“Non te la sei inventata, c'era, c'era”.
E come mai il totale di Carretta nel fiume non c'è più?
“Non saprei dirtelo, qualcuno in seguito l'avrà tagliato. Forse per lo stesso motivo per cui non montammo scene anche più terribili, come lo scempio del cadavere di Mussolini a piazzale Loreto. Diciamo per carità di patria”.
E alle Fosse Ardeatine non sei entrato?
“Non ce l'ho fatta, sono rimasto fuori. L'orrore dell'interno l'ha girato Pagliero, che era più coriaceo di me, più distaccato, un po' come Rossellini con cui interpretò Roma città aperta. Ma dovevi vedere che faccia aveva quando uscì da quell'inferno. Io ho girato l'esterno, lo strazio dei parenti, le interviste alle donne in lacrime”.
Il commento parlato, piuttosto debordante, porta le firme di Umberto Calosso e Umberto Barbaro. Lo scrissero insieme?
“No, Calosso prestò solo la sua voce, che il pubblico simpaticamente conosceva dalle trasmissioni di Radio Londra. L'errore nostro fu quello di affiancargli uno speaker tradizionale. Nello scrivere da solo il testo, Barbaro forse esagerò. Lui era fatto così, ci dava dentro. Ma tutti in quel momento erano pieni di passione”.
Come ricordi Giorni di gloria?
“Fu un'operazione fatta con il cuore e con la rabbia, ma anche con la gioia di mostrare alla fine che gli italiani si erano rimboccati le maniche per rimettere in piedi il nostro Paese"».
(Tullio Kezich, “Corriere della Sera”)