Nel giorno della sua morte, certamente lui avrebbe voluto essere ricordato come fotografo, e che fotografo! Invece i pochi giornali che si occupano di lui celebrano l'assiduo caratterista del cinema italiano (una settantina di film da Il documento, 1939, Camerini, a I due marescialli, 1962, Corbucci) e non senza qualche ragione. Qui la sua visibilità è più che evidente, e ci sono ruoli che lo tramandano alla storia del grande cinema, dal barbone Alfredo di Miracolo a Milano (1951, De Sica) al fotoritrattista di Bellissima (1952, Visconti) e al pubblico ministero di Il processo di Frine (Altri tempi, 1953, Blasetti). Del resto la sua attività di attore è nata casualmente, quasi per gioco, essendo dal 1937 anche fotografo di scena a Cinecittà.
Parliamo di Arturo Bragaglia, e già il cognome dovrebbe metterci sull'avviso. Secondogenito di Francesco, direttore generale della Cines (il primogenito è l'altrimenti famoso Anton Giulio, teorico, teatrante e critico, il terzogenito è Carlo Ludovico, regista di buona volontà), i tre fratelli nascono tutti all'insegna della fotografia. In particolare Arturo, con Carlo Ludovico, si dedica dal 1910 alla tecnica fotodinamica (lunghe esposizioni di soggetti in movimento) teorizzata da Anton Giulio con il libro Fotodinamismo futurista del 1911, che provoca molte polemiche all'interno del neonato movimento.
La fotodinamica, che non vuole essere una rappresentazione del reale, bensì un'autentica espressione artistica, una possibilità di percezione al di là delle potenzialità dell'occhio umano, apre a prospettive inedite e a sperimentalismi rivoluzionari che si protrarranno sino ai tempi del Bauhaus. Ma Arturo è uno spirito inquieto, che opera a tutto campo: dalla fotografia archeologica ai ritratti delle attrici del muto, dalla documentazione del Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio al proprio studio fotografico autonomo aperto in via Condotti. Qui il destino vuole che, a causa di un allagamento, gran parte del materiale raccolto e archiviato negli anni vada irrimediabilmente perduto, e che per ironia della sorte siano invece preservate le apparizioni in pellicola di questo ometto buffo, ironico e curioso, oltre che geniale.