È il 5 giugno 1998 quando, a Washington, nell'aula del Congresso, il deputato Bob Stump annuncia con enfasi la morte di Bob Hope. Alle 21.09 la notizia – grazie a un dispaccio dell'Associated Press finito erroneamente in Internet e poi tramite l'agenzia Reuter – fa il giro del mondo. Ma l'attore, nato a Londra in questa data e che aveva appena compiuto felicemente i 95 anni, godeva ottima salute, come confermato dalla figlia Linda, dagli uffici della società di famiglia, la Bob Hope Enterprises di Burbank (California). Camperà sino al 27 luglio 2003.
Poco male. Il 4 maggio 1988, Monica Vitti (che oggi ha appena compiuto gli 82 anni, sebbene da tempo nelle nebbie dell'Alzheimer) viene data per suicida dall'autorevole quotidiano francese Le Monde con tanto di commosso “coccodrillo” firmato dall'altrettanto autorevole storico e critico Jacques Siclier. Nel 1993 sono “defunti” Sophia Loren (in questi giorni omaggiata a Cannes) e Sean Connery, nel 1995 Frank Sinatra (che è campato tre anni in più) e Giorgio Armani, nel 1996 Gianni Morandi e Marlon Brando (scomparso otto anni dopo), ma le “notizie” – per fortuna di tutti gli interessati – sono state fermate poco prima che i giornali le pubblicassero.
Da noi non è mai stato veramente popolare Bob Hope, nonostante la sua vaga somiglianza con Carlo Dapporto: l'attore che costituiva l'ideale comico di Woody Allen («Hope è un comico straordinario e meraviglioso, diretto, immediato. La sua comicità piace perché è senza pretese, senza secondi fini. Anch'io, come tanti artisti della nostra epoca, cercai di copiarlo») è in realtà un cabarettista e un intrattenitore difficilmente esportabile, dalle smorfie inimitabili e dalla presenza scenica volutamente impacciata. Ma negli States, nonostante la sua provenienza inglese, è stato una specie di eroe nazionale: tra i meriti per cui gli americani lo apprezzano da sempre (e che gli hanno procurato ben cinque Oscar ad honorem) v'è il fatto di essere stato spesso protagonista di spettacoli per soldati in missione all'estero e in guerra, dal secondo conflitto mondiale alla Corea, dal Vietnam al primo Golfo (il che da noi non volge proprio a suo favore). Lo amano e lo onorano Ronald Reagan e George W. Bush, e a Hollywood gli viene persino intitolato in vita un incrocio (Bob Hope Square) tra la Walk of Fame e Vine Street.
Bambino prodigio (calca le scene a dieci anni), rivelatosi a Broadway con il famoso musical Roberta, approda sullo schermo nel 1934 con Going Spanish di Al Christie, ma trova successo con Il grande affare (1938, di Mitchell Leisen) e Il fantasma di mezzanotte (1939, di Elliott Nugent). In coppia con Bing Crosby e accompagnato da Dorothy Lamour intraprende una serie di fortunati film comico-canori, a partire da La danzatrice di Singapore (1940, di Victor Schertzinger). Fra la trentina di suoi film noti in Italia (dove quasi mai ha attecchito veramente) si possono ricordare: La donna e lo spettro (1940, di George Marshall), Monsieur Beaucaire (1946, dello stesso Marshall, forse il suo risultato migliore), il popolarissimo Viso pallido (1948, di Norman Z. McLeod), Bob il maggiordomo (1950, di Marshall), La grande notte di Casanova (1954, di McLeod), Eravamo sette fratelli (1955, di Melville Shavelson), Quel certo non so che (1956, di Norman Panama e Melvin Frank), La sottana di ferro (1956, di Ralph Thomas, dove osa cimentarsi con Katharine Hepburn). Oggi ne resta ben poco.