«I grappoli della vigna» (Giovanni, Apocalisse, 14, 19)
John Steinbeck, trentottenne, vince il Premio Pulitzer per il romanzo con Furore (“The Grapes of Wrath”), pubblicato l'anno precedente e destinato a vendere la bellezza iniziale di quattro milioni e mezzo di copie. Il riconoscimento va ad aggiungersi al National Book e all'American Booksellers Book of the Year Awards, pure riportati dal capolavoro, nonostante le polemiche per il suo ipotetico eccesso di progressismo.
Al volo, su sceneggiatura di Nunnally Johnson, John Ford ne trarrà, inusitatamente quanto a orientamento politico, uno dei suoi film migliori (se non, per parecchi, il migliore), su deciso impulso, udite udite, di Darryl F. Zanuck e della Fox, riportando a sua volta una grandinata di premi e due Oscar (tra cui quello alla regia) nel 1941.
Nel 1953 lo scrittore sarebbe poi stato “divulgato” e reso visibile e udibile ai suoi lettori, immortalato insomma - coi mezzi, che oggi appaiono di una povertà inconcepibile, e perciò anche di un fascino nostalgico irraggiungibile, della comunicazione tecnologica di allora - come narratore congiungente a mo' di cornice i cinque episodi de La giostra umana, tratti da altrettanti racconti di O.Henry e diretti Koster, Hathaway, Negulesco, Hawks e King.
Il Nobel avrebbe infine coronato la carriera del romanziere sociale californiano nel 1962, sei anni prima della sua scomparsa a 66 anni. La mia generazione certamente gli deve anche la genuina e incancellabile emozione antinazista - oggi forse un po' up to date - de La luna è tramontata, che nelle illuminate antologie delle scuole medie dell'epoca raramente mancava.