S’inaugura la XVI Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Tra i film più attesi due titoli che non potrebbero essere più diversi: Caccia al ladro di Alfred Hitchcock, tratto da un romanzo di David Dodge, con protagonisti Cary Grant e Grace Kelly, e Le amiche di Michelangelo Antonioni, tratto da un racconto di Cesare Pavese, con Eleonora Rossi Drago, Gabriele Ferzetti e Valentina Cortese.
Ma il Leone d'oro tocca a Giochi proibiti di René Clément e alla distanza ci sembra una scelta più che ragionevole. Il gettonatissimo Caccia al ladro è poco più che una vacanza sulla Costa Azzurra, e il pur da noi amatissimo Antonioni risulta più bassaniano che pavesiano, mentre i “giochi” del francese ci appaiono ancor oggi coinvolgenti e sconvolgenti.
Dirige la baracca dal 1949 – e lo sarà sino al 1953 – Antonio Petrucci, singolare figura di intellettuale multiuso, con implicazioni anche nel cinema. Documentarista, autore di onesti lungometraggi prima e dopo l'incarico (Cinema, che passione!, 1934; Il matrimonio, 1954; Cortile, 1956), critico (Il Tevere, Bianco e Nero, e più tardi La Rivista del Cinematografo), insegnante di regia al Centro sperimentale, non ha particolari connotazioni politiche e si barcamena bene.
Si può rivestire entrambi i ruoli: regista e direttore della Mostra? Generalmente, sì, e spesso con ottimi risultati. Dopo Petrucci, si cimenterà (1963-1968) Luigi Chiarini, considerabile regista con qualche approssimazione. Via delle Cinque Lune, 1942, La bella addormentata, 1942, La locandiera, 1944, Ultimo amore,1947, e, un po' meno, Patto col diavolo, 1949, pur celebrate a suo tempo, sono infatti poco più che fredde esercitazioni didattiche. Non hanno bisogno di commenti invece Carlo Lizzani, direttore dal 1977 al 1982, e Gillo Pontecorvo, nell'incarico dal 1992 al 1996, entrambi tra i migliori al Lido.
Tutt'altro discorso dovrebbe essere fatto, qui e in altri festival, per i registi presidenti di giuria: spesso colpevoli di favoritismi, complici di nazionalismi, accecati da invidie e meschinerie, o più semplicemente incapaci di intendere il nuovo che avanzava.