«Il tuo film comincia quando le tue volontà segrete si trasmettono direttamente ai tuoi modelli.»
«Montaggio. Evoluzione da immagini morte a immagini vive. Tutto rifiorisce.»
«Film lenti in cui tutti galoppano e gesticolano; film rapidi in cui ci si muove appena.»
«Sopprimi quel che devierebbe altrove l'attenzione.»
«Né bella fotografia, né belle immagini, ma immagini, fotografia necessarie.»
«Non abbellire, né imbruttire. Non snaturare.»
Chi può aver annotato questi appunti, che sono altrettanto codici e modelli per il suo cinema? Forse Luc Besson? Non è uno scherzo. Interrogando i propri allievi un docente di storia del cinema qualche tempo fa propose il nome di Robert Bresson. Silenzio da palpare. Poi uno si fece coraggio: «Quello di Nikita? Non ho visto il film, ma ricordo bene la serie... Era tosta».
Non v'è da stupirsi. Ad appena quindici anni dalla sua scomparsa, anche se a oltre trenta dal suo ultimo film, L'argent, Robert Bresson, così schivo in vita, rischia di schivarsi anche dalla storia del cinema e soprattutto dalla memoria degli spettatori pur colti e dei cultori. I suoi rigorosi silenzi silenziano anche lui. Persino il suo essere slow non rientra nelle attuali mode. Il suo essere quasi lungo quanto il secolo (1901-1999) non lo agevola ed è come se l'alverniate non fosse mai giunto a Parigi. E 13 lungometraggi in 40 anni di attività non sono poi certo un gran bottino.
Ma chi sono gli eroi-non eroi, di cui è il cantore-non cantore? Una congregazione di religiose (La conversa di Belfort, 1943), un'amante intrigante e diabolica (Perfidia, 1945), un giovane religioso tormentato nello spirito e nella carne (Il diario di un curato di campagna, 1951), un partigiano in carcere (Un condannato a morte è fuggito, 1956), un borseggiatore (Diario di un ladro, 1959), una futura santa (Processo di Giovanna d'Arco, 1962), un povero asinello (Au hasard Balthasar, 1966), un'aspirante suicida (Mouchette, 1967), ancora una giovane donna suicida (Così bella, così dolce, 1969), due leggendari amanti impossibili (Lancilotto e Ginevra, 1974), un giovane studente segnato dalla morte (Il diavolo probabilmente,1977), addirittura una banconota falsa da 500 franchi (L'argent, 1983). Se si aggiunge che i suoi interpreti sono persone comuni (che tali resteranno, con la sola eccezione della Dominique Sanda di Così bella, così dolce), alle quali chiedeva semplicemente di dire le battute e compiere le azioni richieste, si comprendono la fatica e l'impegno che il regista pretende dallo spettatore, mai – come in questo suo cinema – richiesto di collegare stati d'animo e contesto, e di vedere un proprio film.
Non il cinema. Ma il vero cinematografo, che tenta di creare un nuovo linguaggio di immagini e suoni attraverso il montaggio, ma anche attraverso il complice in sala. Stupirsi allora che sia più semplice accontentarsi di Besson?