Reparti tedeschi, quattro compagnie della Guardia Nazionale RSI provenienti da Alessandria e Genova, e un reparto di granatieri di stanza a Bolzaneto, completano l'accerchiamento di un cospicuo raggruppamento partigiano (Brigata autonoma Alessandria e 3ª Brigata “Garibaldi” Liguria) convogliatosi nell'antico monastero della Benedicta, nel comune di Bosio (Alessandria), i cui resti sono oggi compresi nel Parco Nazionale delle Capanne di Marcarolo.
Mentre i partigiani liguri, più esperti, cercano di sfuggire al rastrellamento filtrando attraverso le smagliature dell'assedio, i più giovani alessandrini (molti dei quali di recentissima acquisizione alle fila dei resistenti, anche per sottrarsi al bando di Graziani di qualche settimana prima) finiscono per essere sopraffatti: 72 di loro periscono negli scontri a fuoco e nell'esplosione dell'antica abbazia, completamente minata, e altri 75 vengono fucilati da un plotone di esecuzione dei granatieri al comando di un ufficiale tedesco. Dei restanti 351, catturati e avviati successivamente ai lager nonostante la promessa di condono, 147 non faranno ritorno dalla deportazione.
L'eco della strage rafforzerà inestinguibilmente i sentimenti antifascisti tuttora predominati -nonostante i mala tempora- tanto nel Genovesato che nel basso Piemonte.
La memoria e lo studio delle dinamiche dell'eccidio, per troppo tempo ingiustamente poco noto a livello nazionale ed europeo, hanno dato luogo negli ultimi anni, grazie soprattutto alla benemerita, instancabile associazione sorta per ricordare, a una pregevole produzione documentaristica, cfr. www.benedicta.org, www.isral.it, www.valpolcevera.net/benedi.htm, nonché alla sentenza di condanna da parte del Tribunale Militare di Torino in data 15 novembre 1999, del tenente colonnello Siegfried Engel (peraltro all'epoca nonagenario) comandante dell'operazione.