«L'essenza è trovare sempre l'umanità, qualunque situazione tu stia esplorando, e trovare momenti di resistenza e momenti di dilemma e scelta nei quali ci sia un dramma intrinseco, una lotta connaturata. Penso che molto del cinema contemporaneo oggi affronti situazioni piuttosto profonde o importanti, ma che le riduca a uno stile cinematografico corrivo. Credo che la sfida oggi sia mettere tutto da una parte e dire semplicemente: guarda, dov'è l'umanità che accomuna il pubblico e i personaggi del film? […] A breve termine non si può essere ottimisti perché la gente è costretta ad affrontare una spirale di declino. Ma nel lungo termine credo di essere ottimista perché le persone comunque si difendono. La ragione per cui si fanno dei film è semplicemente permettere che le persone esprimano questo, considerare il loro tipo di resistenza perché è quello che ci fa sorridere. È quello che ti dà la forza di alzarti la mattina.»
Così parlò Ken Loach in una lunghissima intervista del 1998 (Loach secondo Loach, Ubulibri, 2000) rilasciata a Graham Fuller, critico del New York Times e di Sight and Sound, secondo il quale «se il cinema inglese ha mai prodotto un Renoir, questo è lui». E come dargli torto, considerando non poche affinità tra i due!
Alla bella età di 78 anni, Kenneth "Ken" Loach è l'unico punto di riferimento che resta a chi ancora crede che un altro mondo sia possibile, che la classe operaia meriti ancora attenzione e che il cinema possa farsi interprete, rispettoso ma battagliero, della sua condizione e del suo divenire. Anche il suo modo di fare cinema, con il montaggio ancora manuale fatto di taglia e incolla, con gli interpreti liberi di esprimersi sul set quasi a soggetto, con gli stessi set che raggiungono la massima naturalezza è insieme antico e foriero di continue scoperte e di un'assoluta affidabilità.
Figlio di operai, da sempre esponente di un socialismo d'opposizione con influenze trotzkiste, nato nel free cinema (i mirabili Poor Cow, 1967, Kes, 1969, Family Life, 1971, che ce lo fecero scoprire quasi mezzo secolo fa), trova ben presto una via assolutamente autonoma, legando il suo nome a pellicole indimenticabili che ci rendono lo stato, le tensioni, le lotte e le sconfitte della classe operaia nell'era thatcheriana e oltre (Riff Raff, 1991; Piovono pietre, 1993; Ladybird Ladybird, 1994; Paul, Mick e gli altri, 2001; Sweet Sixteen, 2002; In questo mondo libero..., 2007), ma anche vicende legate alla ribelle Irlanda (L'agenda nascosta, 1990; Il vento che accarezza l'erba, 2006, Palma d'oro a Cannes; Jimmy's Hall, 2014) o temi più internazionali (La canzone di Carla, 1996; Terra e libertà, 1999; Bread and Roses, 2000; Un bacio appassionato, 2004; L'altra verità, 2010), senza dimenticare gli estrosi My name is Joe (1998), Il mio amico Eric (2009), La parte degli angeli (2012).
Sarebbe tutto da rivedere, magari in ordine temporale d'ambientazione.