A Catania è più di una gloria locale, tanto che la scuola di recitazione del Teatro Stabile – che contribuì a istituire insieme a Turi Ferro – è intitolata al suo nome. Eppure in questo giorno Umberto Spadaro non è nato a Catania, bensì ad Ancona, ove i genitori, Rocco e Rosalia, recitavano nella compagnia di Giovanni Grasso (quello di Sperduti nel buio), e ivi debuttò sul palcoscenico a soli sei giorni di vita tra le braccia di Angelo Musco, entrambi catanesi. Con simili ascendenze e simili padrini, il suo destino era segnato.
Come per tanti altri figli d'arte, nati materialmente sul palcoscenico, in località occasionali, lontane dal luogo d'origine, il teatro sarà il suo habitat, il che non gli impedirà di frequentare lo schermo sin dal 1914. Ma occorrerà attendere il cinema del secondo dopoguerra, tra scampoli del neorealismo e comunque tendenze al realismo, perché questo attore, appunto di particolare vena realistica, trovi una propria affermazione, accentuando, in modo ora ironico, ora drammatico, ma senza strafare, la propria meridionalità.
Così lo ricordiamo, già ultraquarantenne, protagonista (una delle rare volte) in Anni difficili (1947, di Zampa), e poi in Patto col diavolo (1948, di Chiarini), In nome della legge (1948, di Germi), I fuorilegge (1949, di Vergano), Il brigante Musolino (1950, di Camerini, nastro d'argento al miglior attore non protagonista), Un marito per Anna Zaccheo (1953, di De Santis), La grande strada azzurra (1957, di Pontecorvo), Nella città l'inferno (1959, di Castellani), Sedotta e abbandonata (1963, di Germi), Liolà (1963, di Blasetti).
Singolare quella che fu forse l'ultima apparizione: Miguel, un pistolero di Rojo, in Per un pugno di dollari (1964) che, all'affermazione «Starete come a casa vostra», risponde sarcasticamente: «Spero proprio di no. A casa mia stavo malissimo».
E anche nella vita il ruolo di intrepido pistolero gli si attaglia.
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