In uno storico circolo del cinema, durante la proiezione di un film di un regista a lui particolarmente caro, la pellicola stranamente si interrompe e nel contempo si accende un faro non previsto e ci si avvede che un giovane uomo giace riverso, in preda a un fatale malore. Non è una fiction, è l'incredibile cronaca di una morte (forse) non annunciata.
Il giorno è il 31 marzo 2006, il circolo è il San Fedele di Milano, il film è Münich di Spielberg, la persona è Ezio Alberione, che qui si ricorda nel giorno della nascita.
Persona squisita e gentile quanto acuta e profonda, è un piemontese ben radicatosi a Milano, sin dai tempi dell'Università Cattolica, ove si laurea con Sisto Della Palma, con una bellissima tesi su Gli aspetti teatrali della Divina Commedia (che si vorrebbe veder pubblicata), ha nel suo Dna le doti dell'organizzatore, sia nell'ambito del Centro Culturale San Fedele, che porta a primeggiare tra i cineforum milanesi, sia come direttore responsabile (dal gennaio 2005, ma ben esiste anche da prima) del mensile Duellanti, diretto da Gianni Canova, ove riesce a contemperare persone di formazione, di orientamento e – non meno importante – di età diversi, lui che appare giovane per sempre.
Ma è anche critico maturo e attento saggista sugli autori amati (Spielberg, Truffaut, Kubrick, nonché Fabrizio De André nel volume collettivo Accordi eretici, Euresis, 1996, curato da Bruno Bigoni e Romano Giuffrida). Tra i suoi libri il singolare I preti del cinema: tra vocazione e provocazione (Ipl, 1995, con Dario Viganò), l'utilissimo Di cosa parliamo quando parliamo di critica. Riflessioni su critica, cinema e quant'altro (Loggia de' Lanzi, 1997) e appunto Incubi e meraviglie. Il cinema di Steven Spielberg (Unicopli, 2002).
Già, incubi e meraviglie, come quella sera al San Fedele...