… che tu, Adelio ed io / fossimo presi per incantamento / e messi in un vasel, ch’ad ogni vento / per mare andasse al voler vostro e mio; // sì che fortuna od altro tempo rio / non ci potesse dare impedimento, / anzi, vivendo sempre in un talento, / di stare insieme crescesse ’l disio.»
Insieme, come ai tempi della folle avventura di Cinema e cinema, e prima ancora della controversa militanza in Cinema Nuovo. Invece Adelio ci ha lasciati troppo presto e quanto a noi due la malattia ci trova lontani. Così festeggio in modo insolito i tuoi primi 80 anni raccontando chi sei stato e chi sei, solo per quanto mi riguarda.
I tuoi amici, colleghi e allievi ti hanno festeggiato a Bologna con un “FinkFest”, dove il tuo profilo di studioso «è contemplato sotto etichette diverse – americanista, anglista, studioso di cinema, di teatro, comparatista… – ma contiene questi e altri ambiti disciplinari piuttosto che lasciarsi contenere da essi, ponendosi semmai sotto il segno dell’attraversamento dei confini, della curiosità e della generosità intellettuale: Guido “ha fatto rete” prima di internet: ha sempre saldato intorno a sé, e ha messo in comunicazione tra loro, persone, idee e ambiti diversi».
Nell'occasione il tuo amico Roberto Barbolini, pronubo generoso l'editore Mario Guaraldi, ha raccolto in un bel volume dal titolo emblematico, Nel segno di Proteo. Da Sakespeare a Bassani, una corposa scelta dei tuoi scritti apparsi in riviste e atti di convegni tra il 1968 e il 2006, segnalando che la ricchezza dei tuoi interessi di studioso, «unita alla prodigiosa capacità di creare nessi velocissimi mettendo in relazione ambiti remoti e svelandone intrecci imprevisti, testimonia la poliedricità d'un profilo intellettuale metamorfico e imprendibile, la cui lezione – dietro la maschera elegante d'un implacabile understatement – ci appare oggi più che mai indispensabile».
Dal canto mio, penso – con un po' di gelosia per il resto – soltanto al tuo côté cinematografico: alla collaborazione alle riviste citate, oltre che a Paragone, alle monografie su Ernst Lubitsch (1977 e 1997), su Robert Altman (1982), su William Wyler (1988), soprattutto a quello che può essere considerato il libro di una vita, tanto atteso e sempre rimandato, come a un appuntamento con se stessi: Non solo Woody Allen. La tradizione ebraica nel cinema americano (2001).
E ti festeggio a modo mio riportando uno stralcio di una “lettera aperta” che ti sollecitai per una rivista universitaria, i quaderni del cucmi, nel lontanissimo 1961, all'epoca del tuo primo soggiorno di studio americano.
«Si parlava di Kubrick: beh, qualche giorno fa, uno dei miei pochi colleghi che ammettano di andare al cinema non solo per divertimento, e che ansiosamente mi interrogava su Tu ne tueras point e su Marienbad (film, quest'ultimo, che tutti attendono come una manna, benché io faccia del mio meglio per disilluderli) si è dimostrato stupito del mio giudizio positivo su Spartacus: né vedeva come e perché dovesse connetterlo a Orizzonti di gloria (film che non aveva visto, ma di cui aveva sentito parlare perché era stato proibito in Francia). Un rapido esame ha confermato questo sistema allarmante: conosceva Resnais e Malle, Bolognini e persino Maselli, ma ignorava, oltre quello di Kubrick, i nomi di Brooks, Ritt, Dmytryk e Zinnemann. John Ford ed Elia Kazan sono tra i pochissimi registi americani che godano di una certa popolarità (a parte i fenomeni Chaplin, Welles, Hitchcock). Gli altri non esistono: fanno parte della macchina di Hollywood, una gigantesca società anonima di cui ci si può servire o di cui si può ridere, ma sulla quale non vale la pena di intavolare un discorso. Meno male che c'è la critica francese, con le sue note appendici italiane: altrimenti i poveri Raoul Walsh, Joseph Losey, Nicholas Ray, Douglas Sirk e Howard Hawks rimarrebbero degli sconosciuti... »
A buon intenditore, poche parole...