Nasce a Taggia (Imperia), ma è da considerarsi napoletano a tutti gli effetti, il regista forse più popolare del cinema italiano: per decenni basta il suo nome ad attirare il pubblico ma questa garanzia non è sufficiente per trovargli un posto nella storia o per identificare un film memorabile tra gli oltre cento da lui firmati. Belle contraddizioni del rapporto spettatori-critica.
Il suo nome è Carmelo Camillo Gallone detto Carmine, e il suo segreto consiste essenzialmente nel trasporre sullo schermo rifacimenti storici e temi operistico-musicali per apprezzare i quali non occorre essere laureati. Questo Cecil B. DeMille nostrano ci lascia infatti ingenui colossal congeniali al fascismo (da Gli ultimi giorni di Pompei, 1926, a Scipione l’Africano, 1936) e innocui film per melomani ben accetti da tutti i governi (Casta diva, 1936, Puccini, 1953, o Casa Ricordi, 1954), per concludere, come si merita, con due film della serie Don Camillo, prima di morire, quasi dimenticato, a Frascati il 4 aprile 1973.
Nell'occasione qualcuno ricorda una sua affermazione: «Se il film non piace al Duce mi sparo». Si riferiva a Scipione l'Africano, che, nonostante i suoi cinquanta elefanti (qualcuno anche di cartapesta) e le centinaia di comparse, generici e maestranze, comunque non entusiasmò Mussolini, anche se venne lo stesso premiato alla Mostra di Venezia.
Altri non dimenticano che, tra le opere all'estero di questo eclettico cineasta, figurano Terra senza donne (1929), considerato il primo film sonoro tedesco, La citta canora (1930), primo grande tentativo di cinema musicale europeo, Di notte a Parigi (1931), molto simile al successivo Per le vie di Parigi (1932) di René Clair.
Altri infine lo ricordano dotato di una grande vitalità, un anziano che sfida ancora i giovani nelle gare di corsa, senza accusare i disturbi propri di un accanito fumatore, mentre come regista continua a sognare di fare un film da un milione di dollari.