“L'è el dì di Mort, alegher!” (Delio Tessa, Caporetto 1917) [4]
Muore a Roma a 72 anni Salvatore Amedeo Buffa, in arte Amedeo Nazzari, nato a Cagliari il 10 dicembre 1907: «insieme a Vittorio De Sica, il massimo divo italiano a cavallo della seconda guerra mondiale» (Alberto Crespi).
Comincia col teatro, dove si afferma rapidamente, troncata la facoltà di ingegneria: è in compagnia con Annibale Ninchi (un Edipo a Colono a Siracusa), poi addirittura con Pirandello e la Abba, per non dire di Tatiana Pavlova; in un “Mercante di Venezia” lo dirige Max Reinhardt. Nel cinema debutta, tra il perplesso e l'incredulo, nel '35, su input di Elsa Merlini, in Ginevra degli Almieri di Guido Brignone, per diventare subito, invece, protagonista di immediato successo con Goffredo Alessandrini in Cavalleria e Luciano Serra pilota ('36-'38), cui segue l'affermazione, addirittura proverbiale, ne La cena delle beffe di Blasetti da Sem Benelli, a fianco di una Clara Calamai per un attimo a seno nudo, pronunciando una battuta che gli resterà incollata addosso per tutta la vita.
L'esito del conflitto e il (parziale) ribaltamento di orizzonti del dopoguerra non lo affondano, anzi: Lattuada, Camerini, Blasetti, Germi, Zampa gli offrono le principali occasioni interpretative della sua carriera (Il bandito, 1946; La figlia del capitano e Un giorno nella vita, 1947; Il brigante Musolino, 1950; Il brigante di Tacca del Lupo e Processo alla città, 1952). Ma è soprattutto Matarazzo che, con la tetralogia Catene, Tormento, I figli di nessuno e Angelo bianco (1950-55), torna a farne, in coppia con Yvonne Sanson, il divo italiano più popolare del dopoguerra, fatta eccezione per Totò e prima dell'imporsi di Mastroianni. Nel '57 Fellini con Le notti di Cabiria gli fa disegnare «con buona dose di autoironia il ritratto di un disincantato divo del cinema: se ne ricorderà nel ruolo analogo sostenuto, vent'anni dopo, in Melodrammore di Maurizio Costanzo» (è ancora Crespi).