Ranucci di cognome, Rachel (la marca di una famosa cipria francese) come primo nome. Rascel per facilitarne la pronuncia, per qualche tempo Rascele in ossequio alle norme fascista, infine definitivamente Renato Rascel, detto amabilmente “il piccoletto” ovvero uno dei più singolari personaggi dello spettacolo italiano, l'unico al quale possa attribuirsi il termine “surrealista”.
Quando scompare, quasi ottantenne, in questo giorno sono in pochi a riconoscergli questo attributo, preferendo richiamare il suo candore, il suo sentimentalismo, la sua pateticità o tutt'al più i monologhi assurdi, le invenzioni linguistiche, i nonsense. In verità egli è surrealista sin dall'aspetto, dalla bassa statura che egli stesso esalta e sottolinea, dalle sue iniziali qualità acrobatiche, dal volto disegnabile con pochi tratti. In qualsiasi contesto ci si imbatta in lui, porta un tocco di diversità.
Osserviamolo interprete delle “favole musicali” scritte appositamente per lui da Garinei e Giovannini: Attanasio cavallo vanesio (1952), Alvaro piuttosto corsaro (1953), Tobia, candida spia (1954), così differenti dal coevo teatro di rivista, zeppo di doppi sensi sessuali. E contemporaneamente coinvolto sullo schermo in un esempio del “fantastico sociale” di Zavattini (la «maniera socialfiabesca» come la definisce, non senza simpatia, Giulio Cesare Castello su Cinema) quale risulta Piovuto dal cielo (1953, di De Mitri), ove – secondo il soggetto originale – un guitto si trasforma in ladro per amore e poi si finge un angelo “piovuto dal cielo” per ottenere la complicità di un bambino e soprattutto per non deluderlo.
Ma oltre a Zavattini, anche Lattuada si è accorto di lui e, con un colpo di genio, gli ha affidato un ruolo drammatico nel gogoliano Il cappotto (1952), con un esito così felice da fargli meritare un Nastro d'argento e addirittura da indurlo a cimentarsi per la prima (e unica) volta con la regia cinematografica: La passeggiata (1953), un film tratto nuovamente da Gogol' che non riesce tuttavia a ripetere il successo del precedente, causa la trama, un po' troppo audace per l'epoca (un timido istitutore di collegio si innamora di una prostituta, suscitando scandalo nella cittadina di provincia ove risiede).
Un biennio particolare, meno noto del prosieguo della sua carriera sui vari fronti. Qualche esempio. Eccolo nel 1957 godere di vasta popolarità con la commedia musicale Un paio d'ali e acquisire notorietà internazionale con la canzone Arrivederci Roma. Nel 1958 interpretare il garbato ma dolente Policarpo, ufficiale di scrittura di di Mario Soldato che gli vale un David di Donatello. Nel 1960 vincere il festival di Sanremo con la canzone Romantica, da lui composta e cantata anche da Tony Dallara. Nel 1966 tornare al teatro di prosa, con La strana coppia di Neil Simon, accanto a Walter Chiari. Nel 1970 tornare alla commedia musicale di Garinei e Giovannini con Alleluia brava gente, accanto al giovane Gigi Proietti. Nello stesso anno conquistare il pubblico televisivo con la serie I racconti di padre Brown, da Chesterton, diretto da Cottafavi. Infine memorabile è nel 1986 la sua ultima apparizione in teatro con Finale di partita di Beckett, al fianco dell'amico Walter, che gli sopravviverà meno di un anno.
Chi ha visto quello spettacolo – quei due bravissimi vecchi – è ancora percorso al ricordo da un brivido.