«Quando muore un poeta è come se morisse una stella in cielo», sentenziava Alberto Moravia durante le esequie di Pasolini. E, in modo molto meno drammatico e molto meno celebrato, una stella si è spenta, ma non la sua luce, quando, poco più di un anno fa, ci ha lasciato Roberto Roversi, nato in questa data.
Del cinema è soltanto un cultore: partecipa generosamente alla sceneggiatura di due film non eccelsi ma diversamente curiosi (Non si scrive sui muri, 1975, di Raffaele Maiello e, con l’amico Tonino Guerra, Il frullo del passero, 1988, di Gianfranco Mingozzi), ma le Lune legano il suo nome soprattutto alla prefazione che accetta di scrivere per la raccolta postuma di Adelio Ferrero, Dal cinema al cinema (1980), ove l’interesse per la pudovkiniana settima arte si intride della passione politica.
Come ricordarlo? È soprattutto il poeta civile e non neutrale che pubblica sin dal 1942 anche presso grandi editori, e tuttavia li ripudia a metà ’60 optando per edizioni in proprio (Le descrizioni in atto del 1970, un ciclostilato a disposizione gratuita dei richiedenti) o piccole realtà autogestite. Ma è anche il fondatore nel 1948 della Libreria Palmaverde, che gestisce sino al 2006, «una libreria legata a una scelta precisa, non quella dell'alto antiquariato, ma del libro esaurito, un po' raro e di cultura». È inoltre nel 1955 il fondatore (con Francesco Leonetti e Pasolini) nonché l’editore di Officina, cui segue nel 1961 Rendiconti, due riviste che segnano il dibattito letterario e scientifico. È infine, nel suo eclettismo sperimentalista, l’autore negli anni ’70 di preziosi testi per Lucio Dalla e per gli Stadio. Ed è, nel suo multiforme ingegno, il giornalista (in difesa della libertà di stampa, assume per un certo periodo la direzione di Lotta Continua), il romanziere, il drammaturgo, il politico, l’uomo – pur spaziando nel mondo – profondamente legato alla sua Bologna.
Anche questo è cinema.