In occasione dei suoi 102 anni (auguri, maestro) piace ricordare un direttore della fotografia dei più straordinari, anche perché – nato da ben altre esperienze, specie inizialmente nell'ambito degli Ealing Studios – lega da ultimo il suo nome alla moderna pratica degli effetti speciali.
La storia di Douglas Slocombe comincia da lontano, quando nella primavera 1939 si trova in Polonia a documentare la vita quotidiana con particolare riguardo alla comunità ebraica (cui per origini il britannico appartiene) e vi resta clandestinamente sin dopo l'invasione nazista, di cui coglie il tragico avvento, riuscendo poi a esportare il prezioso materiale. Un'esperienza che ne segnerà la vita.
È nel dopoguerra che prende il via la sua carriera professionale e parte subito alla grande: con Dead of Night (1945), il film firmato da Basil Dearden, Alberto Cavalcanti (straordinario il suo The Ventriloquist's Dummy con un memorabile Michael Redgrave), Robert Hamer, Charles Crichton, vero e proprio manifesto del cinema gotico.
Ben selezionate le sue – sempre molto creative – collaborazioni: dai deliziosi Sangue blu (1949, di Robert Hamer) e L'incredibile avventura di Mr. Holland (1951, di Charles Crichton) al tenebroso Il servo (1963. di Losey). Ma batte anche, in patria o negli Usa, le più diverse strade, animato da un'imperterrita volontà di sperimentare e di innovare. Eccolo padroneggiare e “illuminare” i set di Roman Polanski (Per favore non mordermi sul collo, 1967), di Anthony Harvey (Il leone d'inverno, 1968), di Ken Russell (L'altra faccia dell'amore, 1970), di Norman Jewison (Jesus Christ Superstar, 1973, e Rollerball, 1975), di Jack Clayton (Il grande Gatsby, 1974), di Fred Zinnemann (Giulia, 1977) e perfino di un James Bond (Mai dire mai, 1983, di Irvin Kershner).
Ma è con lo Steven Spielberg del ciclo Indiana Jones (I predatori dell'arca perduta, 1981; Indiana Jones e il tempio maledetto, 1984; Indiana Jones e l'ultima crociata, 1989) che Slocombe pare aver trovato una nuova forma di divertimento, pur sempre molto professionale: l'Industrial Light & Magic ricorre a lui unitamente a un'equipe di altri britannici (gli scenografi Norman Reynolds e Lesley Dilley, il fonico Roy Charman) per gestire il giocattolone, ricco di miniature, matte painting, effetti meccanici, visivi e pirotecnici, con il godibilissimo risultato che conosciamo.
Queste ultime informazioni le abbiamo tratte da un recentissimo libro di Federico Magni, Meraviglioso. Effetti speciali al cinema, edito da Falsopiano, che si raccomanda vivamente ai nostri ventiquattro lettori. Metodico, minuzioso, impressionante per la ricchezza di dati e di informazioni, e per la loro gestione, è a sua volta un “effetto speciale”, specie per chi se ne bea quotidianamente ma stenta a orientarsi nella mappa.