Un grande regista teatrale, il Giorgio Strehler che muore d'infarto a Lugano in questo giorno, avrebbe potuto essere anche un grande regista cinematografico? La storia l'ha raccontata il vostro cronografo su Cineforum (sapete, quello cartaceo) quasi un trentennio fa (Lo voleva Strehler, n. 240, ottobre 1984) e qui ve la ripropone.
Notti e nebbie, da tanto che se n'è scritto e parlato, sembra quasi un film fatto, visto da qualche parte e magari recensito. Strehler lo annuncia – insieme al suo esordio nella regia cinematografica – nel gennaio del 1976. Per non confondere il titolo del romanzo di Castellaneta (appena uscito) con il quasi omonimo film documentario di Resnais, lo chiamerà Un uomo d'ordine o L'uomo d'ordine. C'è già il credit (sceneggiatura di Alfredo Giannetti, fotografia di Pasqualino De Santis, musiche di Fiorenzo Carpi) e quasi il cast (gli attori del “Piccolo”, da Tino Carrraro a Giulia Lazzarini, ma forse Gian Maria Volontè, o persino Al Pacino o Robert De Niro).
Per Strehler è una storia che ci riguarda tutti, oggi: «Esternamente, nei fatti, è un film sulla fine storica del fascismo, ma internamente, nei personaggi, è un film sul fascismo che è sopravvissuto e sopravvive dentro di noi, il male oscuro della borghesia, di quella italiana in particolare, l'agguato dei sentimenti d'ordine che nascondono e fanno da coperchio a un grumo contorto di irrazionalità» (dal resoconto di Morando Morandini sulla conferenza stampa).
Dieci mesi dopo, il progetto si perfeziona, ma è già un altro film. Intanto si chiama, célinianamente, Viaggio nella notte. Si attuano consistenti mutamenti nel credit (sceneggiatura di Andrea Frezza, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi) e nel cast (Gian Maria Volontè, Andrea Jonasson, Miou-Miou, probabili Agostina Belli e Yves Montand o Michel Piccoli). Dichiara l'aspirante regista: «Avrà un andamento a zig-zag, a incastro, tra presente e passato... Avrà un andamento critico-lirico. Non sarà una ricostruzione storica. Le immagini giocano sulla geografia stilistica dell'epoca, le superfici fredde e falsamente eroiche del fascismo. Tendo alla ricostruzione del retroterra dannunziano, base della nostra disfatta culturale... Non sarà un film neorealista. Sarà una radiografia del fascismo interiore e profondo del piccolo borghese. La realtà trasposta condurrà a quella vissuta. Un racconto poetico-drammatico, senza espressionismi. Non si vedono tedeschi che torturano. L'orrido viene da più lontano... [Il protagonista] sarà uno che non si sente mai del tutto colpevole, perché non arriva alla vera consapevolezza dell'infamia... Un piccolo borghese senza eroismi, sempre pronto a servire alla violenza delle degenerazioni della società capitalistica, cioè il fascismo e il nazismo. Dietro, un mare di sottocultura» (da un'intervista di Maurizio Porro).
Lo Strehler di Ma mì (con ribaltamento in termini) e insieme quello di Arturo Uì (con rappresentazione epica e dialettica conseguente), debitamente aggiornati negli anni del neofascismo incalzante e di altri torbidi movimenti incombenti. Un bel colpo. Mancato.
Aggiungiamo che ci saremmo dovuti “accontentare”, in quel 1984, del terzo lungometraggio (ancorché televisivo) di Marco Tullio Giordana, Notti e nebbie, appunto. Almeno, questo esisteva.