Lo sceicco bianco non è un film memorabile tanto per la figuretta di Brunella Bovo, mogliettina incantevole e incantata, o per il corpaccione di Alberto Sordi, già troppo esuberante e cialtrone, o ancora per l'anteprima di Cabiria (Giulietta Masina), tenera zoccola, quanto per l'illuminante e timida presenza di Leopoldo Trieste, il maritino a suo modo intellettuale. Quel ruolo, quasi da protagonista, non può sfuggire a chi, ancora adolescente, ammira il film in quel lontano 1952 e si chiede invano da dove provenga quell'attore alieno al cinema italiano (e un po' alienato), che Fellini ha improvvisamente chiamato alle glorie (e alle miserie) dello schermo.
L'ebreo (ma allora non si diceva) calabrese proviene dal Centro Sperimentale di Cinematografia ove si è diplomato regista (dirigerà solo due film, curiosi eppur modesti: Città di notte, 1956-58, e Il peccato degli anni verdi, 1960-61), si è affermato già dal 1945 come drammaturgo e dal 1946 come sceneggiatore (anche con Pietro Germi e Claudio Gora), eppure il suo destino è segnato.
Lo conferma lo stesso Fellini ne I vitelloni (1953), dove gli ritaglia il ruolo dell'intellettuale di provincia concupito da un vecchio capocomico, lo attesta un centinaio di film, spesso come caratterista di lusso, che comprende opere primarie del cinema italiano. Proviamo a elencare, quasi a caso: Divorzio all'italiana (1961, di Pietro Germi), Un giorno da leoni (1961, di Nanni Loy), Sedotta e abbandonata (1964, di Germi, Nastro d'argento), Assicurasi vergine (1967, di Giorgio Bianchi), Piso Pisello (1981, di Peter Del Monte), Enrico IV (1984, di Marco Bellocchio, altro Nastro d'argento), Nuovo cinema Paradiso (1988, di Giuseppe Tornatore), L'uomo delle stelle (1995, di Tornatore, terzo Nastro d'argento), Marianna Ucria (1997, di Roberto Faenza), Il consiglio d'Egitto (2002, di Emidio Greco).
Bizzarro nella vita come nel cinema, introverso e insieme estroverso, volto mobile e assorto, figura stralunata, resta una delle più singolari presenze di mezzo secolo di cinema italiano.