La scomparsa di Giovanni Grazzini ci ispira qualche considerazione sulle raccolte di recensioni in volume, tipica dei quotidianisti a partire dagli anni '70. Non erano mancati esempi sin da Film visti di Mario Gromo (Bianco e Nero, 1957) che raccoglieva un'antologia dei suoi pezzi su La Stampa al 1931 al 1955, ma si trattava di fatti sporadici. Quella che qui vi raccontiamo è invece era una vera e propria sfida tra lui e Tullio Kezich.
La priorità spetta a Grazzini (Corriere della Sera) con Gli anni Settanta in cento film (Laterza, Bari, 1976), ma subito Tullio Kezich (Panorama e la Repubblica) con Il Millefilm 1967-1977 (Il Formichierc, Milano, 1977). Grazzini retrocede con Gli anni Sessanta in cento film (Laterza, Bari, 1977) e sferra l'attacco dell'appuntamento annuale con Cinema 77 (Laterza, Bari, 1978), mantenendo puntualmente – lui e l'editore – l'impegno nel tempo. Con Il Centofilm Kezich regge il ritmo per tre stagioni (dal 1977-1978 al 1979-1980), poi gli infortuni economici del suo editore gli impediscono di proseguire. Ma si rifà nel 1983 pubblicando presso gli Oscar Mondadori Il nuovissimo Milltefilm che recupera il periodo 1977-1982 e si offre a un prezzo di copertina imbattibile. Imbattibile è anche il suo primato (2100 film in quindici anni), mentre Grazzini – nello stesso periodo – non va oltre i 600-700 film (ma le sue recensioni sono più lunghe e talora più selezionate). Da Laterza, Grazzini continua sino a Cinema '93 (1994) a macinare il proprio impegno annuale; non lo fermano i passaggi di giornale (dal Corriere a Il Messaggero e poi a L'Indipendente) bensì l'assunzione di incarichi pubblici. Nella stessa collana prende il suo posto, con Cento film 1994 (Laterza, Bari, 1995) e gli annuali volumi successivi, Kezich (in collaborazione con Alessandra Levantesi) che nel marzo 1989 è passato da la Repubblica al Corriere della Sera e che ha comunque raccolto le sue precedenti recensioni in II film ‘80 (Oscar Mondadori, 1986) e in II film '90 (Oscar Mondadori, 1990), raggiungendo a quel punto un totale di 2942 film.
Che critico era il fiorentino Giovanni Grazzini, detto Vanni dagli amici e Giovannone dagli altri? Filologo e critico letterario, viene chiamato a sorpresa nel 1962, dal nuovo direttore Alfio Russo, ad assumere l'incarico di critico cinematografico del Corriere della Sera (la leggenda vuole che Giulia Maria Crespi, azionista del Corriere, l'abbia fatto recludere per qualche mese in una villa in Toscana con una cassa di libri di cinema per un corso accelerato), restando titolare sino al 1988, quando, sostituito da Tullio Kezich, passa brevemente a Il Messaggero e poi a L'Indipendente. Il suo meticoloso lavoro rivela una passione che nasce con il tempo ed è espressa attraverso una scrittura nitida ed elegante. Vicino al partito repubblicano di Giovanni Spadolini, ricopre ruoli chiave nella politica cinematografica: presidente del Centro sperimentale di cinematografia (compresa la direzione di Bianco e Nero), dell'Istituto Luce, dell'Ente Gestione Cinema («una bruttissima avventura»). È stato il primo presidente del SNCCI (Sindacato nazionale critici cinematografici italiani), che ha contribuito a fondare. Il suo ultimo libro, uscito poche settimane prima della morte da Gremese, è una raccolta di articoli su Gli ultimi divi, ma anche una testimonianza ai posteri sulla misura e i gusti dell'uomo. Forse premonitore l'incipit della nota finale: «Compiuto il tragitto, alla fine della galleria delle stelle c'è una stanza vuota. Nessun nuovo ritratto alle pareti, nessun inginocchiatoio su cui piegarsi. Soltanto una freccia che indica l'uscita».
Lo avevamo incontrato a Venezia dopo che su Cinema e cinema era uscita una stroncatura del suo Eva dopo Eva. La donna nel cinema italiano (Laterza, 1980), accusato di maschilismo, e un po' imbarazzati gli chiedemmo scusa per l'eccessiva irruenza dell'estensore (Claudio M. Valentinetti). «E se avesse ragione?» rispose con un enigmatico sorriso sui lunghi denti ingialliti.