Su RaiTre va in onda la prima puntata di Chi l’ha visto?, programma dedicato alle persone scomparse condotto inizialmente da Donatella Raffai e da Paolo Guzzanti: proprio lui, in una delle sue più riuscite metamorfosi. I meno giovani ricordano ancora l'omonima rubrica della Domenica del Corriere, entrata da subito e ancor oggi nel linguaggio comune.
Un vero e proprio servizio pubblico, basato su una poco riconoscibile fototessera e una breve descrizione dell'interessato, qualcosa che suonava di obitoriale, ma una funzione importante quando, nell'immediato dopoguerra, abbondavano dispersi in guerra, displaced persons, rifugiati, randagi e sventurati vari. Un “Dove sei?” l'aveva tentato anche il compassionevole l'Enzo Tortora di Portobello (1977), ma si trattava appunto di una semplice rubrica.
Con Chi l'ha visto? si compie un decisivo passo avanti, verso quella tv del dolore, con relativa spettacolarizzazione dei sentimenti, che era stata involontariamente inaugurata il 10 giugno 1981 dalla “notte di Vermicino” (i vani tentativi di estrarre da un pozzo il piccolo Alfredino Rampi), un evento mediatico in diretta no-stop che muoveva da un diritto di cronaca, forse addirittura un dovere, per finire con il mutarlo in un numero circense. Non passa molto tempo e, come annota la sociologa Anna Bisogno sul giornale blog I Confronti, «da Cogne a Garlasco, da Perugia ad Avetrana, la televisione diventa il dispositivo comunicativo contemporaneo che più di ogni altro tradisce costantemente il dolore, nel senso che lo rende tangibile, lo trasforma in una storia appetibile, ne fa un osceno lievito per gli indici di ascolto».
Ne è la prova il fatto che Chi l'ha visto? ha raggiunto il quarto di secolo di esistenza, pur tra disavventure varie, molti cambi di conduttore (sino all'attuale, inamovibile dal 2004, Federica Sciarelli) e mutazioni genetiche. Alla ricerca di persone scomparse (anche attraverso la ricostruzione di discutibili filmati con attori) – e già si potrebbe dire che anche la scomparsa, in certi casi, è un diritto – si è infatti ben presto accompagnato o addirittura sostituito il tentativo di risolvere dei delitti, con almeno due fatti eclatanti.
Il caso Caretta. In diretta, il 19 novembre 1989 viene ritrovato il camper della famiglia scomparsa mesi prima. In diretta, ben nove anni dopo, il 30 novembre 1998, Ferdinando, il figlio superstite, confessa al giornalista Giuseppe Rinaldi davanti alle telecamere di Chi l'ha visto? il triplice omicidio. Come si diceva una volta, la polizia brancolava nel buio.
Il caso Scazzi. Il 6 ottobre 2010 viene data in diretta la notizia del ritrovamento del cadavere di Sarah Scazzi (quindicenne scomparsa da Avetrana il precedente 26 agosto e ritrovata senza vita, in seguito alla confessione del suo presunto assassino, proprio mentre era in onda la trasmissione) alla madre in collegamento dalla casa del cognato (che si è rivelato essere il luogo del delitto della giovane). Peccato che sul luogo medesimo non fossero presenti telecamere, ma ci si può perfezionare.
In entrambi i casi gli indici di ascolto salgono vertiginosamente. Commenta la citata Bisogno: «L’informazione dunque cambia modalità di approccio alla notizia, dilata l’oggetto esplorato, abusa del diritto di cronaca, cerca nuovi ambiti di appeal. Il limite (sottile e assottigliato) che separa informazione e intrattenimento troppo spesso viene varcato, alimentando una tv che sembra onnipotente, nel vuoto che c’è. Una tv che è vita meglio della vita e in cui il Gabibbo ha preso il posto del poliziotto, Forum del pretore e Chi l’ha visto? del detective Marlowe».
Per restare sul colto, a noi tra l'altro viene in mente che, al loro tempo, avrebbero avuto problemi sia Edmon Dantès, in veste di lord Wilmore o di conte di Montecristo, sia Mattia Pascal in veste di Adriano Meis. Impostori da smascherare!