Nasce il Premio Strega e viene conferito a Ennio Flaiano per il suo primo e unico romanzo, Tempo di uccidere, pubblicato da Longanesi su istigazione dello stesso Leo Longanesi.
Già si respira aria di cinema. Flaiano ha al suo attivo un bel pacchetto di sceneggiature (tra le quali La freccia nel fianco di Lattuada e Roma città libera di Pagliero) ed è destinato a diventare un punto di riferimento del cinema italiano con un rapporto di amore-odio. Lo sponsor del premio e industriale del giallo liquore omonimo è Guido Alberti, che intraprende la carriera di attore nel 1963 (addirittura 8½ di Fellini) e appare in molte decine di film d'autore o di genere – comprimario o caratterista di lusso – sino al 1991 (Il portaborse di Luchetti).
Tempo di uccidere attira da subito i cineasti ma “non è cosa”. Ambientato nel 1936, durante la guerra d'Etiopia, narra di un ufficiale italiano che ha un rapporto con una ragazza locale, la ferisce involontariamente e la lascia morire, conteso tra il rimorso e il terribile sospetto di aver contratto la lebbra. Tabù le guerre coloniali, le mescolanze razziali, i soprusi degli occupanti, occorrerà attendere sino al 1989 perché il romanzo appaia sullo schermo, nella versione diligente ma anodina e inerte di Giuliano Montaldo.
Almeno inizialmente il cinema attinge spesso alle opere vincitrici del prestigioso premio. Proviamo a elencarle. Un racconto compreso ne La bella estate (1950) di Pavese ispira l'Antonioni de Le amiche (1955). Una delle Cinque storie ferraresi (1956) di Bassani si ritrova ne La lunga notte del '43 (1960) di Vancini. L'isola di Arturo (1957) della Morante, Il Gattopardo (1959) di Tomasi di Lampedusa e La ragazza di Bube (1960) di Cassola diventano i film di Damiani (1962), di Visconti (1963) e di Comencini (1963). Ferito a morte (1961) di La Capria ispira alla lontana nello stesso anno Leoni al sole dell'esordiente Caprioli e Una spirale di nebbia (1966) di Michele Prisco l'omonimo film (1977) di Eriprando Visconti. Poteva mancare Il nome della rosa (1981) di Eco, tradotto (1986) da Jean-Jacques Annaud?
Bisogna attendere vent'anni perché di nuovo si attinga. Segno che la narrativa italiana si estingue (magari a vantaggio dei vari Federico Moccia, Giorgio Faletti e Fabio Volo) o che il cinema si fa meno attento? Propendiamo per una duplice soluzione, anche perché gli ultimi tre risultati non sono proprio eccellenti. Non ti muovere (2002) della Mazzantini resta in famiglia con il film (2004) del marito Castellitto. Caos calmo (2006) di Veronesi si traduce stentatamente nel film (2008) di Antonello Grimaldi (più Moretti) e Come Dio comandi (2007) di Ammaniti nell'oscuro film (2008) di Salvatores.
Ancora peggio vanno le cose per il sopravvalutato La solitudine dei numeri primi (2008) di Paolo Giordano, trasformato in horror (2010) da Saverio Costanzo.