Il francese Nouvel Observateur richiama l'attenzione sul fenomeno, sempre più frequente e invasivo in Usa, del product placement, ovvero la palese pubblicità a determinati prodotti all'interno di un film.
Il record spetterebbe a Minority Report (2002, di Steven Spielberg) che avrebbe incassato circa 25 milioni di dollari grazie alla presenza, al suo interno, di ben 15 marchi, tra cui Nokia, Gap e Lexus, mostrando con generosità i loro logo. Il fatto più curioso riguarda la Miramax che, essendosi accorta che in View from the Top (Una hostess tra le nuvole, 2003, di Bruno Barreto), con Gwyneth Paltrow, veniva mostrato un certo numero di bottiglie di birra Heineken, provvede a correggere digitalmente le relative etichette con quelle della Coors, sulla base di un accordo settennale che prevede «il monopolio del piazzamento dei loro prodotti nelle nostre pellicole». Il fenomeno, secondo tale inchiesta, si sta diffondendo anche in Francia, con un tariffario che va dai 30.000 ai 150.000 euro per piazzamento.
E in Italia? La “pubblicità ingannevole”, come recita l'art. 4 del Dl 74/92, era esplicitamente vietata, sino a quando non è subentrato il DM 235/2004, detto decreto Urbani, secondo il quale «la presenza di marchi e prodotti deve essere palese, veritiera e corretta […], deve integrarsi nello sviluppo dell'azione, senza costituire interruzioni e, comunque, deve essere coerente con il contesto narrativo del film. […] Ai fini della riconoscibilità delle forme di collocamento pianificato di cui all'art.1, l’opera cinematografica deve contenere un avviso nei titoli di coda che informi il pubblico della presenza di marchi e prodotti all'interno del film, con la specifica indicazione delle ditte inserzioniste». Sarà proprio sempre così?
Pensando ai nostri anni '70, e a tutti i loro escamotages, viene da sorridere. In molti film, specie commediole allegre e poliziotteschi, vi era un sistematico ricorso, assolutamente sfacciato e talora incongruo, all'inquadratura di prodotti, in particolare sigarette e alcolici, o dei relativi marchi. Lo garantivano le frequenti ambientazioni in locali pubblici, con targhe e insegne in evidenza, portacenere in posizione strategica, bottiglie sui banconi o al tavolino. In ogni occasione, la sigaretta veniva estratta ponendone in bella vista, con qualche acrobazia, il pacchetto (preferibilmente, Muratti e Marlboro). Quanto alle bevande, ove non pareva sufficiente l'esibizione del marchio, soccorreva un richiamo sonoro: i più gettonati il Fernet Branca, il Punt e Mes, e poi Martini, Cinzano, Asti Gancia (assente, stranamente, il Campari), o i “foresti” J&B e Vat 69 (altrimenti detto “il telefono del papa”), che venivano ordinati ad alta voce. Mai che si bevesse una semplice grappa o un bianchino come pure la circostanza, e l'uso comune, avrebbe consigliato.