«È doloroso parlare di un cinema appena nato che si vuol già far morire. Il cinema novo brasiliano è vissuto appena due anni. Il momento della sua esplosione generale è stato troncato brutalmente, nell'aprile del 1964.
Caduto Goulart, pochi giorni dopo aver annunciato, in uno straordinario comizio, una autentica riforma agraria, latifondisti e colonnelli sono ritornati al potere. La controrivoluzione dei gorilla non ammette né il cinema realista, né quello poetico. Troppo avanti si erano spinti, troppo avanti erano penetrati i registi novi dell'analisi della realtà sociale, nel tessuto nazionale-popolare del paese. Oggi, il governatore dello Stato di Rio, il fascista Lacerda, ammette il cinema come “fenomeno di promozione sociale, non di degradazione”. Nel suo messaggio, degradanti sono i film e i messaggi migliori che la giovane scuola brasiliana ha realizzato negli ultimi anni, quelli che hanno costituito la sua gloria. Ed è singolare, ma non sorprendente, come tale linguaggio sia comune ai reazionari e agli ignoranti, sotto qualsiasi parallelo.
Una notizia Ansa da Rio de Janeiro, in data 13 gennaio 1965, informa che “gli sviluppi politici e la situazione finanziaria brasiliana si sono tradotti, nel settore cinematografico interno, in una stasi della produzione”; e questo è un modo, altrettanto equivoco anche se meno virulento, di dire suppergiù la medesima verità. La quale è assai amara, se si pensa che tra i pochissimi film di valore dell'anno '64, la notizia cita anche Dio e il diavolo nella terra del sole, di Glauber Rocha, e I fucili, di Ruy Guerra, che sono viceversa le punte più avanzate, liberatorie e protestatarie, del cinema novo.
Sono i film che il coraggioso padre Arpa, amministratore del “Columbianum”, ci ha fatto vedere nella recente Rassegna genovese del cinema latino-americano, accanto a Vidas secas, di Nelson Pereira dos Santos, che ha ottenuto il “Giano d'Oro” dalla giuria internazionale presieduta dal poeta spagnolo in esilio Rafael Alberti. La premiazione di Vidas secas tratto dal romanzo di Graciliano Ramos, conosciuto anche in Italia col titolo Siccità, e i consensi che hanno accolto, nell'Auditorium della Fiera del Mare, le altre due opere (premiate in precedenza nei festival di Porretta Terme e di Berlino, mentre Cannes aveva scandalosamente ignorato il film di Nelson), suonano tristemente quale celebrazione di un cinema serio, audace, sincero, che il vasto pubblico italiano rischia di non conoscere nemmeno. Il cinema novo brasiliano è stato incoronato e giubilato».
(Ugo Casiraghi, da Il Calendario del Popolo, marzo 1965, prossimamente nell'e-book Il cinema del Calendario, a cura di Lorenzo Pellizzari)