«Felice Andreasi è nato l'8 gennaio 1928. A vent'anni ha cominciato a dipingere, a quaranta è salito per caso sulla pedana di un cabaret e di pedana in pedana è arrivato a fare teatro, cinema, televisione. Vive con la moglie e un pappagallo, nel suo studio di pittore a Torino.»
Questa, nel 1974, la laconica autopresentazione sul risvolto di un libro assolutamente demenziale e dissennato: L'uomo spaventoso (Il Formichiere), una succinta raccolta di brevi testi di umorismo nero e no. Esempio? «Un bel giorno io sono nato. Subito non mi sono accorto di niente, ma dopo un po' me l'hanno fatto notare.»
Ma val la pena di riportare, a ulteriore esemplificazione, il testo che dà il titolo alla raccolta:
«Un uomo spaventoso si guarda allo specchio e dice: “Che schifo, che uomo spaventoso che sono. Dio, che faccia che mi hai fatto. Perché?” Dio non risponde. Solito. Man mano che si guarda nello specchio l'uomo spaventoso si trova meno spaventoso. “Oh Dio... A guardar bene i miei occhi non sono molto belli. Ma non sono neanche così brutti. Sono grossi. Rotondi. Fuori dalle orbite. Che male c'è? Il destro è storto. Pende un po'. Ma il sinistro non si muove neanche volendo. È come se fosse incastrato dentro. Vitreo. Cola... Cola un po'. Ma deve ben sfogarsi anche lui. Naso... Ha le sue belle narici bucate anche lui. Come tutti i nasi. Equidistanti l'una dall'altra. Non più di un palmo... Senza contare che la bocca resta sempre aperta. Ma dev'essere per via dei molaroni, laggiù in fondo, che impediscono al meccanismo di chiudersi... Labbra... Né belle né brutte. Non ci sono... La lingua non è necessario che si veda. Basta non lasciarla pendere fuori... Tenerla tutta in bocca. Ben attorcigliata... Senza morderla coi denti. Oh Dio... Non sono molto bello, ma poi non sono neanche così brutto... Sono interessante, ecco!”» [n.d.r.: nella tv di Bernabei il termine “Dio” è stato sostituito dal termine “mamma”].
Nessuna trascrizione su carta può rendere il modo, il tono, lo spirito (anzi, la voluta assenza di spirito) del singolare attore, preservatici solo da qualche spezzone delle Teche Rai su YouTube. Ma per fortuna esiste il cinema, da lui praticato, non sempre con convinzione, dal 1970 al 2003 (il poetico corto Nanà di Beppe Varlotta), alle soglie della scomparsa per complicazioni conseguenti al Parkinson, lui che paradossalmente ne sembrava afflitto da sempre. In qualsiasi film apparisse, magari a sorpresa, fosse sia pure una particina, un cameo, poche pose, pareva che lo schermo avesse un sussulto o meglio si fermasse, ed era un brivido di piacere intellettuale. Trascurando i film comici, meritano almeno menzione Il sospetto (1975, Maselli), Strana la vita (1987, Giuseppe Bertolucci), Storia di ragazzi e ragazze (1989, Avati), l'ottimo Il caso Martello (1991, Chiesa), Un'anima divisa in due (Soldini, 1992), Il partigiano Johnny (2000, ancora Chiesa), Pane e tulipani (2000, ancora Soldini, che gli frutta un Nastro d'argento). Ci manca.