Essere (o diventare) la moglie di un regista può voler dire assicurarsi una protezione a vita, un rispetto in ogni senso, una continuità di lavoro. Ma più anche voler dire una presenza ingombrante, un segnale di rivalità, una testimone non gradita. Meglio che se ne resti a casa, almeno in un ambiente quale quello italiano.
È la sorte che tocca nel 1956 (l'ultimo suo film è il modesto I girovaghi, di Fregonese), a poco più di trent'anni, a Maria Luigia Attanasio, in arte Carla Del Poggio, signora Alberto Lattuada e madre dei suoi due figli. La nostra è solo una serie di supposizioni, ma fatto sta che costei, già giovane stella da adolescente, assai dotata sia nei ruoli leggeri degli inizi sia in quelli drammatici del dopoguerra, volto “moderno” e fisico esile, controcorrente in quegli anni, lascia un ricordo intenso fra i tanti fantasmi del passato.
Napoletana di nascita, è figlia del colonnello dell'esercito Ugo Attanasio, che, nel 1947, si scoprirà gran caratterista e da pensionato sarà attivo dal 1952 sino al 1967, dieci anni dopo il ritiro della “Carlina”, come la chiama con tono più padronale che protettivo Alberto. (Già che ci siamo, ricordiamo l'ex colonnello come lo zio dello sposino in Lo Sceicco bianco di Fellini, come missionario in La spiaggia, come direttore didattico in Scuola elementare, come Don Vincenzo in Mafioso, come lo stregone in La mandragola, come prete in Don Giovanni in Sicilia, tutti del genero, e come un generale in I mostri di Risi.)
Quanto alla figlia, ad appena diciott'anni può già annoverare nel suo carnet Maddalena... zero in condotta (1940, di De Sica), La scuola dei timidi (1941, di Bragaglia), Un garibaldino al convento 1942, ancora di De Sica), Signorinette (1943, di Zampa), e dite se è poco. Il matrimonio con Lattuada, ma anche la fine della guerra, segna il suo passaggio dai “telefoni rosa” ai drammi del realismo, con o senza neo. Il neomarito le affida il difficile ruolo di una prostituta in Il bandito (1946) per poi dirigerla ancora in Senza pietà (1948), in Il mulino del Po (1949) e soprattutto in Luci del varietà (1950) ove eccelle. Ma forse le prove migliori le consegue con De Santis (Caccia tragica, 1947), Germi (Gioventù perduta, 1947), e ancora De Santis (Roma ore 11, 1952).
Poi, sin troppo paziente e devota, si occupa della famiglia e finisce i suoi sessant'anni di matrimonio con l'assistere, nel lungo e penoso decorso della malattia di Alzheimer, il suo soltanto parziale Pigmalione.