Nasce a Luzzara, il borgo cui resta idealmente legato per tutta la vita benché il lavoro lo porti prima a Milano e poi a Roma, Cesare Zavattini, curioso degli uomini (e delle donne), della vita, dei piccoli e grandi mondi.
È narratore, poeta, pittore, diarista, ideatore di giornali e di eventi, soggettista e sceneggiatore, perfino regista. Semina ovunque, ma non raccoglie tutto ciò che ha seminato, così deve spesso accontentarsi di spigolare. A lui che praticamente non è mai apparso in tv, la televisione moderna, aperta, illuminata (che pur esiste) deve idee, moduli, progetti, programmi che avvertiamo come sua indiretta filiazione.
Per lui non si pronuncia la parola “cinema”: è egli stesso il cinema. A chi è capitata la fortuna di dedicargli un libro molto personale (addirittura Il mio Zavattini) è toccato in sorte di dover spiegare a giovani studenti e studiosi chi fosse costui (quello di Ladri di biciclette?) e perché “parlassimo tanto di lui”. Del resto, quando Za compie il suo ultimo viaggio, il 14 ottobre 1989, ancora una volta da Roma a Luzzara, alle esequie di “rappresentativo” c’è soltanto lui: assenti registi e attori, uomini di cinema e uomini di cultura, come recitano diligentemente i giornali dell’epoca.
Lo ricordiamo citando un brano di una nostra vecchia intervista, che fa luce su un controverso rapporto di lavoro, quello del famoso “cappuccino” in cui non si riesce a distinguere il caffè dal latte: «È chiaro che in tutti questi anni, De Sica e io, ci siamo giovati reciprocamente. Probabilmente ci siamo anche danneggiati reciprocamente, in questo senso: che io non oso pensare che De Sica sia in grado di fare solo le mie cose. Non oso pensarlo, assolutamente. Ci sono in Italia soggettisti, sceneggiatori che, d'accordo con De Sica, avrebbero potuto fare delle ottime storie che De Sica avrebbe realizzato benissimo. Io, a mia volta, avrei potuto tentare altre collaborazioni del tipo dello stesso impegno: non facili, perché – mi dico – non è facile trovare un uomo che ha verso di te la fiducia piena che ha De Sica e che accetta di essere “compromesso” anche in certi pensieri, perfino in certe ideologie qualche volta, in certi stili. Quindi, io debbo a De Sica una gratitudine sconfinata perché quel poco che ho fatto, se non avevo neanche De Sica, probabilmente continuava a restare un fatto di pensiero e non si sarebbe mai realizzato. La mia caratteristica è quella di un certo ingombro: io sono un po' ingombrante, io non posso lavorare con tutti i registi; e, più vado avanti, questo diviene sempre più evidente».