Nasce al Cairo da genitori italiani Goffredo Alessandrini (il padre dirige i lavori della diga di Assuan).
Interrompe gli studi di ingegneria a Cambridge per passare ad architettura a Roma, orientandosi verso la scenografia: vincerà il concorso indetto da Bragaglia nel '27. Pratica intanto l'atletica ad alto livello: campione d'Italia 110 ostacoli nel '25, azzurro in numerose competizioni internazionali. Spostandosi a Parigi, conosce Blasetti facendogli da corrispondente per il suo quindicinale “cinematografo” dal 1928, e ne diviene aiuto, uno e due anni dopo per i suoi primi film, Sole e Terra madre.
Tornato in Egitto nel '29 per realizzarvi, giocando in casa, il documentario La diga di Nag Hamadi (non di Maghmod , preciserà lui stesso: qui il direttore dei lavoro era suo zio...) che gli procura notorietà internazionale e lo fa assumere alla Cines-Pittaluga. Va ad Hollywood, per occuparsi del doppiaggio dei film destinati all'Italia per conto della Metro: continuerà a farlo dal '33, al rientro in Italia, per la United Artists. Aveva predisposto anche la “cornice” italiana di quattro Mickey Mouse di Disney e Ub Iwerks (La notte insonne di Topolino , 1929). Debuttando a sua volta, conosce immediatamente il successo con le commedie La segretaria privata (1931) e Seconda B (1934), ma anche il solido Don Bosco (1935), coprodotto dai Salesiani e da Riccardo Gualino che vara così la sua Lux Film.
Personaggio eccentrico ed egocentrico, caratterizzato da una vistosa benda all'occhio (come Lang, Ford e Walsh...), nel 1935 sposa - durerà pochi anni - Anna Magnani, che dirige l'anno dopo nel proprio film migliore, Cavalleria (Coppa del ministero Stampa e Propaganda). Sullo slancio del risultato, diviene negli anni successivi l'autore “ufficiale” di un raro - sugli schermi - fascismo epico, con Luciano Serra pilota (1938: film inaugurante con le sue riprese Cinecittà, titolo lì indicato, seduta stante, personalmente dal Duce e coppa Mussolini a Venezia), Abuna Messias – Vendetta africana (1939, stesso premio) e Giarabub (1942), raggiungendo appena dopo uno straordinario seguito popolare col dittico Noi vivi e Addio Kira! (dal romanzo di Ayn Rand, altro premio a Venezia '42).
In posizione più difficile nel dopoguerra, anche in ragione dei suoi stretti vincoli col regime, dopo esiti minori dirige ancora l'ex-consorte nella parte di Anita Garibaldi in Camicie rosse (1952), che abbandona per dissapori con lei e la produzione, lasciandone la conclusione all'aiuto Francesco Rosi. Convive quindici anni con Regina Bianchi, che costringe a lasciare, per l'intero periodo, il teatro: ne avrà due figlie e quattro nipoti. Tornato in Egitto, dà una mano al consolidarsi della cinematografia locale, passando poi in Argentina, per firmarvi gli ultimi due film, Rumbos maldidos e Mate consido, nel 1962.
Sporadicamente attore di secondo piano al definitivo rientro in Italia (I tre volti, episodio Indovina, 1963; Che fine ha fatto Totò Baby?, Alessi '64; La Celestina P...R..., Lizzani '65), si dedica alla conduzione dell'azienda di famiglia e soprattutto, finalmente, a tempo pieno alla pittura, anch'essa coltivata fin dalla giovanile frequenza dell'Accademia di Belle Arti a Roma, dove muore il 16 maggio 1978. In tre eccezionali sedute, nella prima metà di novembre del '73, aveva rilasciato a Francesco Savio forse la più bella e generosa intervista - cinquanta pagine - della sua futura raccolta postuma Cinecittà anni Trenta (a cura di Kezich, Bulzoni 1979).