Cinema dell'arte (forse con riferimento all'antico brand nostrano “commedia dell'arte”) si intitola forse la più bella, certo la più singolare, storia del cinema italiano dal muto al neorealismo sino a quella data (quella di Carlo Lizzani, molto ideologica, apparirà solo nel 1954 da Parenti, nello stesso anno di quella, molto perbene, di Mario Gromo da Mondadori). Ma ancora più singolare è che venga pubblicata in francese (Bonne, Paris 1951) sia pure a opera di un oriundo italiano, il barlettano Nino Frank, di cui oggi si ricorda la scomparsa. Eccone l'altrettanto singolare incipit: «Au fait, quelle est la date de naissance de l'art cinématographique péninsulaire? Si vous êtes communiste, 1945, après la chute définitive de Mussolini. Si vous êtes conservateur, 1933, le temps où le fascisme commence à aider des deniers publics les cinéastes». Il che chiarisce e denuncia anche l'essere ondivago dell'autore, una persona – forse un personaggio – davvero al di là dell'ordinario e che da noi andrebbe meglio ricordata.
Nato nel 1904 da una famiglia svizzera di lingua tedesca laddove il padre importava vini pugliesi per tagliare l'eccelso Bordeaux, si trasferisce a Parigi nel 1923 e tre anni dopo è addirittura corrispondente del Corriere della Sera. L'ostilità di Curzio Malaparte, che lo denuncia per antifascismo, lo allontana dal prestigioso incarico e anche, definitivamente, dall'Italia, ma lo compensa l'amicizia di Corrado Alvaro e di Massimo Bontempelli, con il quale fonda la rivista letteraria “900”. Cahiers d'Italie et d'Europe, cui collaborano Pierre Mac Orlan, Max Jacob, Albert Camus, Il'ja Erenburg e soprattutto James Joyce. Di quest'ultimo diventa amico e con lui crea un circolo che comprende anche Samuel Beckett e Stuart Gilbert, il quale lo aiuta nella traduzione francese dell'Ulysses nel 1929). Come sarà amico di Blaise Cendrars con il quale scrive tre pièces radiofoniche (che Cendrars riunirà in Films sans images, 1959) e di cui pubblicherà le opere complete (1960-1971). Tanto per fare un po' di nomi.
Lo si è definito “ondivago”. Durante l'occupazione nazista, Frank scrive nel settimanale collaborazionista Les Nouveaux Temps e contemporaneamente sulla rivista di cinema socialisteggiante L'Écran français, che vedrà le firme di registi come Becker, Carné, Grémillon, di scrittori quali Bost, Prévert, Camus, Malraux, Sartre, di critici quali Sadoul e Mouissinac – tanto per fare ancora un po' di nomi – raggiungendo infine nel dopoguerra la posizione di redattore capo. Si vuole che sia stato il il primo critico cinematografico a usare l'espressione “film noir” con riferimento ai polizieschi americani degli anni '40. Ma fu lui stesso a essere attratto dalla scrittura per lo schermo: i pur modesti Turno di notte (1944, Faurez e Randone), La Bohème (1945, L'Herbier), Il signor alibi (1947, Dréville), La taverna del porto (1957, Chanas) e, non accreditato, Camicie rosse (1952, Alessandrini). Ci lascia anche un delizioso Petit cinéma sentimental (La Nouvelle Édition, Paris, 1950), per poi un giorno lasciarci, come ricordava al momento della sua scomparsa Olivier Barrot su Le Monde, «in punta di piedi, con la gentilezza ironica dei troppo modesti».