Negli anni '50, quando cinema d'animazione voleva dire soltanto Walt Disney, o così ci facevano intendere i mercanti, una luce si accendeva a Est, e non soltanto per motivi ideologici. Accadeva a Praga, in terra cecoslovacca, e si riassumeva soprattutto in due nomi: Karel Zeman (nato in questo giorno, e... lontano parente di Zdeněk Zeman) e Jiří Trnka (nato un paio d'anni dopo). Tra le pieghe della distribuzione alcuni loro film giunsero anche in Italia, prodotto di nicchia per palati esigenti anche se concepiti nel resto del mondo per più vaste platee popolari.
Zeman, la cui intera opera può essere considerata un omaggio al cinema di Méliès, è l'ideatore di un ingegnoso (per non dire geniale) modo di fondere disegno animato a passo uno e riprese dal vero in uno stile molto personale. Mescolando le varie tecniche (attori, pupazzi, burattini, disegni animati, fondali dipinti) e antichi trucchi dà vita alle ottocentesche incisioni su legno di Benett e Riou per l'editore Hetzel, il tutto al servizio di tre romanzi di Jules Verne, opportunamente rivisitati. Nascono così La diabolica invenzione (Vynález Skázy, 1958), I figli del Capitano Nemo (Ukradená Vzducholod, 1966) e L'arca del signor Servadac (Na Komete, 1970). Ironia e pessimismo, magia e parodia, pacifismo e diffidenza verso il progresso scientifico si fondano in costruzioni ingenue quanto sapienti. Ma mirabile è anche Il barone di Münchausen (Baron Prášil, 1962). Scopriremo in seguito quanto gli deve Terry Gilliam nelle animazioni preparate per i Monty Python e nei suoi lungometraggi, lo stesso Gilliam che non a caso si cimenterà a sua volta nel 1989 con Le avventure del barone di Münchausen.
Trnka, la cui creatura forse più nota è il pupazzo del buon soldato Schwejk (dal romanzo di Jaroslav Hašek), protagonista di quattro cortometraggi nel 1954, mai importati in Italia forse a causa del loro antimilitarismo, è appunto il mago dei pupazzi animati a passo uno. In lui l'artista, come è giusto, non si disgiunge dall'artigiano: sin da ragazzo impara a costruire e muovere burattini, per poi lavorare come scenografo e illustratore, esperienze che si fonderanno nei suoi premiatissimi lungometraggi.
Già noto per il medio L'usignolo dell'imperatore (Cisaruv Slavik, 1949), incanta anche qualche nostro spettatore con Il principe Bajaja (Prince Bajaja, 1950), ispirato alla pittura gotica ceca sapientemente contaminata con quella del Novecento, ma entusiasma critica e pubblico con Vecchie leggende ceche (Staré povesti ceské, 1953) presentato alla Mostra di Venezia, rilettura moderna dei temi del folclore nazionale, forse il suo capolavoro per finezze tecniche, lirica ispirazione e potenza epica della narrazione. Ma non sarà da meno con Sogno di una notte d'estate (Sen noci svatojanske, 1959).
Il tutto con buona pace di zio Walt e dei suoi nipotini.