La «parola motore, nata come innocente espressione di uno slang tecnico, è in realtà un termine gravido di un'incomparabile densità (e ambiguità) semantica, una parla crocevia che, non a caso, nelle pratiche della tecnologia elettronica, è andata decadendo, così come tende a scomparire la voce del regista, il tono esclamativo, il brivido dell'incipit. Perché ormai tutto il mondo è monitorato da milioni di telecamere sempre accese e il cinema non è più l'irripetibile avventura di qualcuno che si mette a guardare la realtà dall'unico punto di vista possibile (come ci insegnavano Ford e Rossellini). Perché dal mondo come rappresentazione siamo passati alla rappresentazione come mondo. L'unico (il migliore?) dei mondi possibili» (da Cose da dire, Bompiani, agosto 2011).
In questo prezioso libretto, che un Giuseppe Bertolucci già consapevole della gravità della propria malattia (sarebbe scomparso, in questa data, meno di un anno dopo) ci ha lasciato come ideale testamento, sono racchiuse, più che le cose da dire, le cose dette. E sono tante, tutte preziose e originali, soffuse di una certa visione della vita.
Figlio del poeta Attilio e fratello del regista Bernardo, cresce all'ombra prima del padre e poi di costui (aiuto per La strategia del ragno, 1970, sceneggiatore per Novecento, 1975, firma sul backstage di quest'ultimo il mirabile ABCinema), ma ben presto assume un'intensa personalità autonoma come scrittore e realizzatore, anche per il teatro e la televisione. Importante il suo sodalizio con Roberto Benigni, che contribuisce a far conoscere: dal proprio monologo teatrale Cioni Mario di Gaspare fu Giulia trae infatti il fortunato film Berlinguer ti voglio bene (1977), in seguito scrive per lui Tu mi turbi (1982), Non ci resta che piangere (1984), Il piccolo diavolo (1988), infine realizza un Tuttobenigni (1986) sulla tournée teatrale del comico toscano.
Autore di un cinema sperimentale, sentimentalmente impegnato, con venature surreali in un tessuto realistico, cantore privilegiato delle donne, lo si ricorda per i lungometraggi Panni sporchi (1980), Oggetti smarriti (1981), Segreti segreti (1984), Strana la vita (1987), I cammelli (1988), Amori in corso (1989), Troppo sole (1994), Il dolce rumore della vita (1999), L'amore probabilmente (2001), Luparella (2002), quasi tutti meritevoli di maggior successo, nonché per la rielaborazione teatral-cinematografica del pasoliniano Petrolio con Il pratone del Casilino (1996) e per il documentario La rabbia di Pasolini (2008), "Ipotesi di ricostruzione della versione originale del film".
Dal 1997 al 2011 è stato fervido e propositivo presidente della Cineteca di Bologna. Gli sarebbero succeduti Carlo Mazzacurati (2011-2014) e Marco Bellocchio. Una degna compagnia.