Pordenone e 32^ Giornate del Muto («con amor de loinh») [VII].
In realtà nel 2003 era il 18, la sera di chiusura: ma non importa, la voglia è di parlarne qui, in occasione di un'altra chiusura di Giornate. Pordenone, nella sua ormai lunga storia, ha offerto decine e decine di serate memorabili, specialmente nelle inaugurazioni e ancor più nei congedi con musica, non di rado sinfonica, dal vivo (difficile però cancellare dalla memoria, ad esempio, Giovanna Marini che accompagna la prima di Prigionieri della guerra di Gianikian e Ricci Lucchi, poi fortunatamente fissata in home video).
Ma una su tutti credo abbia inciso nelle capacità percettive e cambiato la vita di quanti ebbero la fortuna indicibile di capitarvi. Napoli che canta (1926) di Roberto Roberti, il padre di Sergio Leone, accompagnata dal primo all'ultimo minuto dal canto di Giuni Russo, oltretutto - si sarebbe dolorosamente compreso dopo - alla sua ultima occasione di prodursi pubblicamente. L'evento (una volta tanto il ricorso a questa parola ormai logorata dall'abuso è appropriata) ebbe luogo nel bel Teatro “Zancanaro” di Sacile, che ospitava assai felicemente e in via provvisoria le Giornate negli anni di moratoria per il rifacimento della sua sede storica naturale, il “Verdi” di Pordenone.
Meglio però lasciare la parola ai protagonisti. Prima, al pianista collaboratore musicale dell'operazione, il maestro Michele Fedrigotti, dal suo sito: «Paolo Cherchi Usai, realizzato il restauro di una copia del film, chiede a Giuni Russo di realizzarne una nuova colonna sonora, a completamento del progetto e sostituzione di quella originale andata perduta. Coinvolto come elaboratore e arrangiatore, la realizzazione prende forma per voce, pianoforte, violoncello e tastiere e viene presentata a Sacile. La colonna sonora comprende varie canzoni napoletane, a cui Giuni Russo è legata anche da una memoria familiare della voce materna, e alcuni brani originali».
Poi all'ideatore-propiziatore dell'abbinamento: «Da molti anni nutrivo una grande ammirazione per Giuni Russo, e avevo sempre pensato che la sua splendida voce di soprano sarebbe stata il complemento ideale per un film muto, con o senza la musica napoletana. Giuni ha raccolto tutte le canzoni menzionate in Napoli che canta e le ha arrangiate in una suite in cui si celebra la bellezza e la malinconia della storia vera raccontata nel film. La sua partecipazione a questo progetto ha rappresentato un omaggio a tutti coloro che sono stati costretti ad abbandonare un paese oppresso dalla povertà e dalla dittatura e - per quanto mi riguarda - la realizzazione di un sogno inseguito per anni: sentire cantare Giuni Russo in persona davanti allo schermo delle Giornate del Cinema Muto. Giuni ha capito il film; il film si è aperto al suo sguardo. Il mio unico contributo al progetto è stato l'aver provocato questa breve, folgorante storia d'amore fra voce umana e immagine. Giuni e il film hanno fatto il resto» (Paolo Cherchi Usai).
E infine alla stessa, indimenticabile artista: «Brani come “Marechiare”, “O sole mio” e “Serenatella a mare” erano praticamente obbligati perché citati dalla didascalie, altri li ho messi io. Mio nonno Francesco era napoletano e io sono siciliana, ma in me le due anime hanno sempre convissuto. Anche per le comunanze dei due dialetti, m'è capitato durante le prove di scivolare dal napoletano al siciliano. Ho chiesto all'arrangiatore Fedrigotti di eliminare chitarre e mandolini per lasciare sola la mia voce col pianoforte, colorato qua e là da violoncello e tastiere».
Il 27 maggio 2012, la sala del Teatro “Zancanaro” che aveva accolto con Napoli che canta l'ultima presenza live della voce di Giuni Russo le è stata, con decisione tanto doverosa quanto felice, intitolata.