Nell'anniversario della nascita, oltre un secolo fa, la memoria corre a un attore che si è ammirato anche quando pareva far di tutto per non essere amato, un attore senza età.
Sarà anche perché – dopo una strepitosa carriera teatrale (dal 1936 è presenza fissa all'Old Vic nel repertorio shakespeariano, compreso nel 1938 un mitico Amleto in abiti moderni) – esordisce sullo schermo solo nel 1946 con il dickensiano Grandi speranze, cui segue dello stesso Lean Le avventure di Oliver Twist (1948), dimostrandone dieci di più, e non sono certo ruoli giovanili quelli rivestiti, con grande successo internazionale, nella commedia all'inglese, tipo Ealing Studios e dintorni (Sangue blu, 1949, Hamer; L'incredibile avventura di Mr. Holland, 1951, Crichton; Lo scandalo del vestito bianco, 1951, Mackendrick; La signora omicidi, 1955, ancora Mackendrick).
Ormai inconfondibile per il suo à plomb, fatto di imperturbabilità, orgoglio, sottile disprezzo, può dominare, con il fido Lean, colossi d'autore quali Il ponte sul fiume Kwai (1958, Oscar come miglior protagonista), Lawrence d'Arabia (1962), Il dottor Zivago (1966), o creare personaggi da antologia (Il nostro agente all'Avana, 1959, Reed; Whisky e gloria, 1960, Neame; Cromwell, 1970, Hughes).
Convertitosi – strano a dirsi – al cattolicesimo nel 1957, baronetto – niente di più naturale – dal 1959, ha con il cinema un rapporto ruvido e contrastato, quasi di diffidenza, il che non gli impedisce di accettare il personaggio di Obi-Wan Kenobi nei primi tre episodi di Guerre stellari (1977-1983, Lucas e altri) – invocando poi che esso venga fatto morire, tanto che parte del pubblico crede sia defunto lui stesso – e quello di Smiley (da Le Carré) nelle due serie televisive La talpa (1979-1982).
Muore davvero il 5 agosto 2000, all'età di 86 anni.
Grande, come negli otto ruoli rivestiti in Sangue blu, e cordialmente antipatico, come gli stessi. Tanto che avevamo perfino dimenticato di riportare il suo nome: Alec, anzi sir Alec, Guinness.