Non sono molti i critici che possono vantare una discreta filmografia come attori, sia pur occasionali. È il caso di Giulio Cesare Castello (nato in questo giorno), che ritroviamo in almeno tre film: Partner (1968) di Bernardo Bertolucci, ove compare nella parte del professor Mozzoni; L'agonia (1969, episodio di Amore e rabbia) dello stesso Bertolucci, ove ha il ruolo di un prete; e soprattutto Il comune senso del pudore (1976) di Alberto Sordi, ove ha un compito particolare. Insieme a un altro critico cinematografico (impersonato da Ugo Gregoretti), un sacerdote progressista e uno psicologo, deve infatti convincere una pluripremiata attrice nordica (Dagmar Lassander) a interpretare la sequenza più scabrosa (un coito anale) di un film su Lady Chatterley, nel quale un produttore napoletano (Giacomo Furia) ha investito molti soldi altrui.
Non è un caso che, in un film dedicato alla lotta contro il malinteso concetto di oscenità, questo ruolo tocchi proprio a lui, la cui notorietà è legata soprattutto al voluminoso Il divismo. Mitologia del cinema (Eri, 1957), frutto di una ricerca monumentale, memorabile per il brivido sottile della trasgressione o dell'anticonformismo d'epoca, che gli procura, in quanto supposto “giornalista erotomane”, l'esclusione, verso la metà degli anni '60, da un concorso universitario (o forse giocano le sue supposte inclinazioni sessuali).
Avremmo certo avuto un docente migliore di tanti altri spuntati in seguito come funghi, ma dobbiamo accontentarci di quanto ci resta di lui, testa aguzza (di aspetto e di sostanza) come pochi. Critico elegante o onnisciente di cinema e di teatro, interlocutore qualche volta un po' bizzoso ma sempre garbato, scrive, tra l'altro, per Bis, Bianco e Nero, Cinema (nella seconda e nella terza serie), Cinema Nuovo, ma anche, più liberamente, per Il Punto e L'Elefante. Senza dimenticare la sua esemplare collaborazione per varie retrospettive alla Mostra di Venezia o le lezioni al Centro sperimentale. Tra i suoi non molti libri si ricordano un piccolo ma prezioso William Holden (Sedit, 1956), un manuale per “Classe Unica” su Il cinema neorealistico italiano (Eri, 1956) che indaga anche sulle influenze neorealistiche nel mondo, due accurate monografie in francese su Luchino Visconti e su Erich von Stroheim (“Premier Plan”, Lione 1961 e 1963). .
Condannatosi dopo quella esclusione al silenzio (gli interessava maggiormente la musica: «Una pagina di Mozart vale tutta la storia del cinema», ricorda Tullio Kezich, commemorandone la scomparsa il 4 luglio 2003), negli ultimi anni era riemerso a sprazzi collaborando con ricostruzioni e ricordi alla rivista Lumière di Giacomo Gambetti.