Si conclude la XLIV Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, che incorona Arrivederci ragazzi di Louis Malle (Leone d’argento: Hip hip hurra! di Kjell Grede; Coppa Volpi al miglior attore: James Wilby e Hugh Grant per Maurice di James Ivory; Coppa Volpi alla miglior attrice: Kang Soo-Yeon per Sibajî di Kwon-taek Im; Leone d’oro alla carriera: Luigi Comencini e Joseph L. Mankiewicz).
Malle non è nuovo a riconoscimenti veneziani. Nel 1958 Les amants, che pur ha suscitato qualche scalpore di troppo, ha conquistato il premio speciale della giuria. Nel 1963 l'altrettanto discusso Fuoco fatuo, dal romanzo di Drieu La Rochelle, ha ottenuto il Leone d'argento e nel 1980 finalmente gli viene assegnato il Leone d'oro (ex-aequo con Gloria di John Csssavetes) per Atlantic City, terzo dei suoi cinque film “americani”.
Non potrebbe essere più “francese” Arrivederci ragazzi, che come il precedente Lacombe Lucien (1974), è ambientato ai tempi di Pétain, epoca di drammi dalle molte sfunature e dai molti coinvolgimenti, forse troppi. Qui tre ragazzini ebrei, clandestinamente ospitati in un collegio cattolico, sono prelevati, in seguito a una spiata, dalla Gestapo. In Lacombe un ragazzotto contadino entra per caso tra gli ausiliari della polizia nazista, conosce il lusso e la vita facile, s'innamora di una giovane ebrea, uccide un soldato tedesco, è catturato dai partigiani e fucilato.
Ma in entrambi i film è la Francia profonda, con le sue campagne e le sue miserie, ad avere la meglio, quasi un paesaggio elegiaco per fosche vicende, quasi un ambiente familiare per sentimenti inconfessabili. La ricostruzione è perfetta, tanto che la si vive con estrema dimestichezza, mentre ci si ritrae per il sospetto di qualche sentimentalismo di troppo e, nel secondo caso, di qualche ambiguità ideologica. Ma questa è la bellezza di un cinema vivo, che Malle ci ha sempre abituato a conoscere.