Vincenzo Nibali affronta le Alpi nel Tour così metodicamente preparato, da nove giorni in giallo per merito suo e rimasto praticamente senza avversari non per colpa sua, e torna perentoriamente a vincere (talvolta i lunisti conoscono il futuro...). E sono cent'anni giusti dalla nascita a Ponte a Ema di Gino Bartali, e cinquantacinque dall'ormai quasi insopportabile scambio misterioso della borraccia proprio in una tappa alpina, la Losanna-Alpe d'Huez del '52 (oggi invece è la St.Etienne-Chamrousse , domani sarà la Grenoble-Risoul).
Il lunista discontinuo, che ha avuto in sorte di conoscere di persona Fausto Coppi grazie a uno zio cacciatore con lui, e che mentre scrive vede dalla finestra l'ospedale dove si compì la tragedia del 2 gennaio 1960, e che risiedendo tuttora a un tiro di schioppo da Castellania (a proposito: emozionante e coinvolgente il paesino-museo che diede i natali al Campionissimo, se ne consiglia vivissimamente la visita) respira da tutta la vita un'aria diversa da quella dei toscani oggi di moda, trova però giusto ricordare oggi il grande Campione contrapposto. Rammentando le sue immagini dal vivo anni Cinquanta, in un annuale circuito post-Giro, cui puntualmente si presentava, maglia giallo-oro bordata di blu della sua squadra eponima ("Bartali-Ursus": i due rivali furono gli antesignani delle sponsorizzazioni, Coppi replicò prima con la Tricofilina, poi con la Carpano) accompagnato dal fido Corrieri, grande gregario e siciliano come Nibali.
Rade presenze dirette di Bartali al cinema e in tv ci furono. Oltre al mille volte rivisto e rivedibile duetto ineffabile con Coppi al Musichiere, figurò due volte come se stesso: nel '48, è risaputo, nel surreale Totò al Giro d'Italia di Mattòli, impegnato a farsi battere dal "professore" insieme a Coppi, Magni, Bobet e Kubler, Cottur e Ortelli. E nel '60, incredibilmente, in Femmine di lusso o Intrigo a Taormina o che dir si voglia, uno di quei filmetti spiritoso-pruriginosi, in realtà squallido-indefinibili, che gli amici il sabato sera mi trascinavano crudelmente a vedere, e che hanno rischiato di uccidermi in culla l'amore per il cinema, mentre probabilmente l'avrebbero fatto prosperare più rigoglioso in Marco Giusti se avesse avuto qualche anno in più all'epoca.
Ma tutto sommato, anzi che dall'originale nelle parti inattendibili di se stesso, il personaggio è stato reso più rispettosamente sia da Favino nel Gino Bartali – L'intramontabile di Alberto Negrin, che Rai 1 ripropone stasera in unica rata, sia soprattutto dalla magnifica apparizione quasi instantanea di un generico anonimo neppur troppo somigliante proprio per eccesso di ricercata verosimiglianza, ma che è azzeccatissimo lo stesso, in una pagina molto felice del sottovalutato Il prete bello di Carlo Mazzacurati (1989, da un irresistibile romanzo di Parise) che quanti stanno seguendo la retrospettiva di Gorizia avranno invidiabilmente avuto modo di rivedere su schermo. E lì Bartali veste ancora - ed è esattamente riprodotta - l'antica maglia verde-oliva della Legnano, antecedente alla giallo-oro personalizzata. Nel '60 si sarebbe dovuto vedere Coppi con la maglia color aranciata della San Pellegrino e Bartali direttore tecnico. Se la Parca non avesse troncato.